Spagna moresca
Gli arabi in Spagna
Al-Andalus
[blockquote]…Dale limosina mujer que no hay en la vida nada como la pena de ser ciego en Granada…[/blockquote]
I versi del poeta arabo andaluso incisi all’ entrata dell’ Alhambra di Granada mi hanno sempre accompagnato fin dalla prima visita di questa culla di civiltà e saggezza e poi in ogni angolo del mondo per tutta la vita, laddove l’emozione che coglie lo sguardo arriva prima di ogni cosa, si cerca di fermarne quell’ attimo magico per poi raccontarlo.I primi califfi Umayyadi trasformarono definitivamente la società islamica che favoriva l’inserimento dei nuovi territori conquistati nell’organizzazione del califfato mantenendone le specificità locali, un pò come era accaduto in parte con l’impero romano, mentre il progetto amministrativo si ispirava in un certo modo alla struttura dell’antico impero Achmenide, con la suddivisione in vaste province affidate a governatori dipendenti dall’autorità centrale. Ciò fu perfettamente funzionale alle dimensioni territoriali acquisite dal califfato, i cui domini andavano dalla costa atlantica fino quasi alle frontiere cinesi già allo inizio del VIlI0 secolo, grazie alla grande espansione Umayyade. In Oriente nel 651 fu completata la conquista dell’intera Persia e l’Afghanistan, da dove l’avanzata proseguì nella Transoxiana e il Turkestan nel 674 e nel 711 penetrò in profondità nel Sind e il Punjab indiano e, per la prima volta dai tempi di Alessandro, una potenza venuta dall’ovest poté entrare a contatto diretto con i confini dei regni indiani e dell’impero Cinese. In occidente, dopo l’Egitto, fu conquistato l’intero nord Africa piegando definitivamente la resistenza delle tribù berbere nel 697, dal Marocco il condottiero Giabal-Tariq Bin Zyad invase la Spagna e da qui gli Arabi avanzarono poi verso l’Europa cristiana, arrestati dai Merovingi nel 732 con l’epica battaglia dì Potiers. La Spagna dell’ epoca attraversava una grande crisi economica provocata dalla frammentazione del potere e conflitti religiosi, pertanto non in grado di contrastare l’ avanzata di Tariq Bin Zyad che sbaragliò subito le truppe iberiche conquistando i territori meridionali che gli arabi chiamarono Al-Andalus, inaugurando la fiorente epoca che a ragione viene definita come Civiltà Moresca, mentre il resto d’Europa viveva secoli dilaniati da conflitti tra i regni barbarici sorti sulle rovine dell’ Impero Romano, le lotte religiose, le incursioni dalla Scandinavia, le steppe della Russia e Asia Centrale, poi il dilagare dei Mongoli. Fino alla reconquista definitiva da pare di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona nel 1492, fu faro di civiltà nell’ organizzazione statale e il fiorire di scienze ed arti, di tolleranza culturale e religiosa accogliendo comunità cristiane ed ebraiche che contribuirono a quella Civiltà Moresca della quale rimangono le splendide testimonianze urbane e architettoniche, artistiche e letterarie che fanno dell’ Andalusia un mondo a parte nel panorama della cultura europea. La legge era bene comune e inviolabile e saggi studiosi di diritto Qadi ne regolavano i flussi benefici per la popolazione, scienziati, letterati e artisti di ogni fede studiavano, insegnavano e creavano liberamente, mentre altrove in Europa gemeva dei supplizi chi osava trasgredire cupe dottrine e ardevano i roghi. A Cordoba arrivavano le merci pregiate da ovest e da est, dall’ oro e avorio di Bilad As Sudan attraverso le vie del Sahara all’ incenso, mirra ed essenze d’ Arabia dalla Via dell’ Incenso seta, tessuti e pietre preziose sulla Via della Seta alle spezie ed aromi dalla Via delle Spezie. Un fiorire di commerci, cultura, scienza ed arte che, solo a descriverlo per sommi capi ci si perde nel tempo e nello spazio, basti pensare alla creatività nell’architettura e decorazione, particolarmente lo stile mudejar, ma anche l’ architettura militare edificando poderosi e raffinati castelli su ispirazione delle fortezze bizantine a pianta quadrangolare e torri tonde del medio oriente perfezionate nei castelli islamici in Giordania. Nei centri urbani venne ripreso il tipico modello arabo perfezionato con edifici eleganti che racchiudevano i cortili patios con vasche decorative che allo stesso tempo rinfrescavano i locali dell’ abitazione che vi si affacciavano. Di grande bellezza le moschee che riprendevano lo stile Omayyade di Bagdad e Damasco, il cui esempio più alto è a Cordoba, di tale splendore che dopo la reconquista cristiana fu riconvertita in cattedrale mutandone in parte l’aspetto, così come accadde altrove e la straordinaria cittadella dell’ Alhambra a Granada dove Carlo V non permise più alcuna modifica e vi edificò il suo palazzo circolare che rimane ad arricchire uno dei più affascinanti complessi monumentali del mondo.
Siviglia
Gli arabi stabilirono la capitale di Al-Andalus a Siviglia, poi sostituita da Cordoba e tornata ad esserlo nel 1031, essenzialmente per la fertilità della sua regione ricca di oliveti e orti coltivati intensamente, oltre che alla qualità della produzione artigianale con notevole produzione metallurgica, lavorazione di tessuti e seta provenienti dal lontano oriente sulla leggendaria Via della Seta, all’ epoca controllata in gran parte dai califfati islamici. Dove sorse poi la cattedrale cristiana era la Puerta del Perdon edificata in epoca Almohade, da essa si accedeva ad una magnifica moschea della quale rimane il grande patio con il giardino dove gli aranci brillavano al sole andaluso, ma dello splendore islamico resta la Giralda che fu uno tra i più suggestivi minareti al mondo che svetta come la Kutubiyya di Marrakesh. La realizzazione del progetto dell’ architetto Ahmad ibn Baso iniziò nel 1184 con le fondamenta quadrangolari in pietra, innalzandosi poi in una perfetta simmetria di mattoni per quattordici anni fino al suo completamento ad opera di ‘Ali da Gomara. Un’ armonia di proporzioni priva di scale sostituite da morbidi cammini e fuori ciascun lato si divide in tre facciate sovrastanti decorate con bassorilievi geometrici, arcate chiuse che racchiudono le finestre equlibrate da sottili colonne. Lo splendido Alcazar venne eretto nel IX secolo dal califfo Abd al-Rahman II, successivamente fu completato con il portale e la Puerta Leon dalla quale si accede al grande portico Monteria e alle arcate con decorazioni calligrafe, quindi il Patio de las Damas dal quale si entra nel Salon de los Reys Moros finemente decorato in stile mudejar, quindi il Patio de las muñecas, delle cui bambole che danno il nome non vi è traccia, la Puerta de los Pavos Reales che immette nel fastoso Salone, finemente decorato dai maestri stuccatori di Toledo, accesso al decoratissimo Salón de Embajadores sormontato da una cupola che rappresenta la volta celeste con i giochi di luce dei muqarnas. Successivamente i reggenti Banu Abad Taifa, fecero edificare lo splendido Patio del Yeso, perfezionato poi dal successore almohade Yusuf ibn Tashfin in cinque anni dal 1171. Oltre le sue arcate decorate si aprono i giardini con la grande piscina, più in la i bagni hammam dalla volta in stile gotico di pietra.
Granada
“La Sabika è una corona sulla fronte di Granada, nella quale gli astri vorrebbero incastonarsi. E l’Alhambra, Dio vegli su di lei, è un rubino al sommo di questa corona..” recitava il poeta Ibn Zamrak un centinaio di anni prima che la splendida città andalusa tornasse alla Spagna cristiana. Forse si deve alla presa di Granada nel 1492 da parte di Ferdinando il Cattolico ed Isabella di Castiglia il finanziamento dell’ impresa di Cristoforo Colombo che di lì a poco affronto il Mare Oceano Tenebroso, fatto certo che l’ euforia per la caduta dell’ ultimo baluardo islamico in Europa indusse Isabella a concedergli fiducia inaugurando l’ era del Nuovo Mondo. Dopo otto anni e tre assedi l’ ultimo lembo di Al-Andalus tornò alla Spagna cristiana dalla quale era stato separato da otto splendidi secoli. Alla caduta dell’ impero romano era sorta sull’ antica Elvira, poi gli arabi di Tariq Bin Zyad ne iniziarono il cesello per farne la splendida città che fiorì nell’XI secolo con l’ emirato Zawi, importante centro commerciale tra l’ islamico Maghreb e i regni cristiani di occidente, fucina di scienze, culture ed arti che, nella cosmopolita tolleranza andalusa, accoglieva musulmani, cristiani, ebrei e cultori del sapere da ogni parte del mondo conosciuto. Ricordo e simbolo su tutti l’ Alhambra “la rossa”, straordinario complesso di edifici sul monte che domina Granada articolato nelle tre aree Alcazaba al-Qaṣaba o “residenza fortificata”, Alcazar al-Qaṣr “il Palazzo” con i maglifici giardini e l’ Alhambra alta o “Quartiere degli Artigiani”, estesa per oltre 10 chilometri quadrati. La fortezza originariamente possedeva trecento torri, delle quali quattro costituiscono attualmente i portali d’ingresso, delle due vie che attraversavano la cittadella ne è rimasta una. Gli spazi interni sono finemente decorati con motivi geometrici ed arabeschi, particolarmente il Mexuar o palazzo pubblico e il Diwan o Serraglio, altri sano sono stati trasformati dopo la reconquista cristiana. Si alternano suggestivi cortili patios, tra i quali quello al centro dell’harem, detto il patio dei leoni con la splendida vasca sorretta da dodici leoni e il patio dei mirti, per le piante di mirto che delimitano l’interno e la vasca. Altri edifici ospitano i bagni hamman con varie sale e una susseguirsi armonico di cortili, giardini, fontane e canali di varie dimensioni, un insieme suggestivo che ne fa una delle meraviglie architettoniche del mondo, patrimonio dell’ Umanità. La poderosa torre di Yusuf I contiene un ampio arco a ferro dove è scritto il nome del sovrano e dove Isabella collocò una statua della Madonna dopo la presa della città, salendo si trova la fortezza Alcazaba terminata nel XII secolo con le varie torri. Alla grandiosità del complesso non corrisponde la modestia dell’ ingresso con il suo mihrab, quasi a voler far scoprire gradualmente le meraviglie che si susseguono a cominciare dal Patio de los Arrayanes dalle due fontane tra i mirti e la vasca che rinfresca i saloni che vi si affacciano con raffinate decorazioni calligrafiche, azulejos e stelle di ceramica di grande suggestione cromatica dal nero al bianco passando dal verde, violaceo e marrone. Si prosegue per il Salón del Trono, ai lati stanze e nicchie le cui finestre illuminano le decorazioni vegetali, geometriche e calligrafiche di brani poetici e versi del Corano. Da qui il Salòn de los Mozarabes che affaccia sul Patio de los Leones, uno dei simboli della Spagna Moresca al centro di quattro canali che convergono nella vasca poligonale sorretta da statue marmoree di leoni. Poi la Sala de Dos Hermanas a probabile ricordo di due nobili sorelle, sormontata da una cupola che raffigura stella cadente e le volte a nicchia muqarnas come preziose formazioni cristalline. Tutto qui conferma i versi del poeta andaluso posti all’ ingresso che invitano una donna a dare la sua elemosina ad un povero cieco “…Dale limosina mujer que no hay en la vida nada como la pena de ser ciego en Granada..”
Cordoba
Cordoba lontana e sola, cantava Federico Garcia Lorca tessendone la tristezza e il rimpianto di antichi splendori che si accompagnarono in secoli di cultura e tolleranza. L’ armata di Tariq Bin Zyad vi giunse nel 711 e i cristiani, ossessionati da tremende prediche su sanguinari seguaci di Malcometto tuonati dai pulpiti di tutta Europa paventarono un sicuro massacro, ben presto si accorsero che qui nasceva la civiltà di Al-Andalus. Nessuno fu espropriato nè di beni nè di fede, tantomeno della vita le comunità cristiane ed ebraiche continuarono ad avere le loro chiese e sinagoghe dove preti e rabbini potevano raccontare ai fedeli la loro versione di Dio, tutti figli di Abramo e creati da un Unico Dio. Si doveva solo pagare una tassa e non fu riservato medesimo trattamento dopo la reconquista cristiana con la cacciata dei musulmani e l’ imposizione agli ebrei di convertirsi o andarsene dalla Spagna. La città fiorì di agricoltura, artigianato, commerci, scienze ed arti, divenendo capitale con il califfato di Cordoba, un faro di cultura del medioevo. Il califfo Abd al Rahman fece edificare la splendida Mezquita, la moschea che divenne uno dei grandi luoghi santi dell’ islam dell’ ovest maghreb, ma anche una delle più suggestive testimonianze dell’ architettura ed arte islamica. Ben ottocentocinquanta colonne su ordini sovrapposti risolvevano arditamente il problema di sorreggere un immenso soffitto alto tredici metri creando un complesso armonico unico e di straordinaria suggestione, solo la rozzezza iconoclasta della reconquista cristiana poteva infrangerlo definitivamente abbattendone la metà per dare spazio all’ altare e varie modifiche nella sua riconversione in cattedrale. Sebbene di molto ridotta la straordinaria armonia rimane affascinante nelle proporzioni e il gioco insinuante delle eleganti colonne con giochi della poca luce filtrante tra i cromatismi azzurro, argento ed oro delle vetrate e l’ocra, nero e bianco degli archi alternati a cuspide sulle colonne che balenano dagli spazio oscuri assieme a tenui angoli illuminati da lampade votive e candele. Attorno alla grande Mezquita sorse un vasto quartiere con palazzi e case che racchiudevano patios e giardini, fonti, moschee e scuole mederse, suq e botteghe artigiane, strade sicure e ampi viali illuminati di notte, mentre il resto d’ Europa soffriva e temeva il calar delle tenebre. Oltre 400mila libri catalogati costituivano la biblioteca del califfato e, ad orrore del resto d’ Europa, qui i centosettanta emanuensi che copiavano i testi erano donne, a dispetto di ciò che produsse secoli dopo un Islam rozzo ed ignorante, all’ epoca la donna era rispettata e protagonista anche culturale, tra le tante la poetessa Safiyya di Siviglia. Nel periodo della dinastia Omayyade il califfato di Cordoba fu una delle più splendidi corti del mondo da ogni parte giungevano astronomi, matematici, scienziati, filosofi, letterati ed artisti che potevano esprimersi liberamente regolati dalla sola legge del sapere e della conoscenza. Nella suggestiva austerità della grande Mezquita dallo splendido contrasto decorativo del mihrab saggi imam guidavano la preghiera e recitavano i loro sermoni nel tollerante Islam di Al-Andalus.