Indios dell’Amazzonia boliviana
Tra le varie popolazioni indigene della Bolivia, gran parte si trovano nelle foreste delle regioni amazzoniche del Beni e Santa Cruz fino alle pianure del Gran Chaco orientale, nei miei viaggi e spedizioni in Amazzonia, anche in quei territori ho sempre cercato di testimoniarne la presenza cercando le comunità più remote, ma anche qui con lo sfruttamento selvaggio, la deforestazione per allevamenti e miniere, la devastante ricerca di petrolio, i traffici di droga e nefandezze d’ ogni genere, la sopravvivenza di quelli che sono genericamente chiamati indios della selva è ormai irrimediabilmente minacciata. I più numerosi ed accessibili delle varie etnie boliviane e tra i primi ad essere evangelizzati, convertiti alla vita coloniale e all’ agricoltura, sono i circa sedicimila Guarayu nel territorio che ne prende nome del Santa Cruz coperto di foresta e attraversata dai fiumi Blanco e San Miguel con alcuni villaggi nel Beni dove sono chiamati anche Huarayos. Nelle pianure pluviali del Beni si trovano le comunità degli oltre cinquemila Baure agricoltori che vivevano in grandi villaggi anch’ essi evangelizzati dalle missioni gesuite alla fine del XVIII secolo, convertiti all’allevamento, tessitura ed artigianato, furono a lungo considerarti civilizzati come i Guarayu, spinti nel territorio di Trinidad che ne ha preso il nome, anche i Baure furono poi travolti dalle piantagioni di caucciù che dalla fine del XIX secolo ne invasero il territorio tradizionale. Nelle Yungas occidentali le comunità degli oltre tremila Leco sono in parte rifugiate dove si stende la grande riserva naturalistica del parco Madidi, quello tradizionale è stato devastato dalla deforestazione per gli allevamenti e, da quando furono scoperti giacimenti auriferi, vi è stata una crescente invasione di coloni, avventurieri ed infine compagnie minerarie. Nel territorio di Ballivián delle Yungas meridionali vivono duemilaseicento Mosetén in villaggi tra il centro che ne prende nome come Moseténe e il fiume Quiquibey, dalle comunità tradizionalmente egualitarie con i capi dal potere decisionale solo nei conflitti tribali, mentre negli altri periodi ogni decisione era comunitaria. Anche il loro territorio ha visto l’ invasione di coloni e nei recenti decenni hanno tentato di organizzarsi in per reagire, ottenendo solo alcuni benefici come elettricità ed acqua in qualche villaggio, costretti a rinunciare alle loro rivendicazioni. Sono duemilacinquecento gli Yuracaré tra la foresta del Beni e la selva alta del Cochabamba che parlano l’ omonima lingua, hanno subito vicende simili agli altri indigeni della regione dopo l’arrivo dei missionari, seguiti da coloni, avventurieri ed allevatori che ne hanno invaso parte del territorio, gli Yuracarè chiamati anche Yurujare con la cristianizzazione una parte ha mantenuto antiche tradizioni ed organizzazione tribale, alcune comunità di Yuracaré più legate alla cultura originaria si trovano protette dalla riserva naturalistica ed indigena del parco Siboro Sécure. Tra le regioni yungas di La Paz, Beni e Pando vivono oltre settemila Takana o Tacana, originariamente erano organizzati in piccole comunità familiari, rimaste simili nel distretto Iturralde con le figure di capi introdotte nelle riduzioni missionarie come cacique e corregidor che convocano e amministrano le comunità organizzate nel Consejo Indígena Takanas. Le comunità Tacana amazzoniche settentrionali sono riunite nell’ Organización indígena tacana, entrambe, parte della Confederación de Pueblos Indígenas de Bolivia o Cpilap come altre associazioni indigene dell’ est boliviano. Nella regione de Beni amazzonico e il limitrofo territorio più settentrionale del Pando verso il confine peruviano, dopo essere stati ridotti a meno di duecento negli anni settanta per epidemie e violenze, dei Chácobo rimangono un migliaio, tradizionalmente cacciatori, raccoglitori e pescatori nomadi, in parte convertiti ad una agricoltura arcaica più sedentaria. Chiamati anche Pacaguara, varie comunità Chácobo sono riuscite a mantenere le antiche tradizioni indigene, come i vicini di simile stirpe e cultura Pacahuara o Pacawara in via di estinzione e sopravvissuti nel villaggio di Tujuré nel Beni. Di Tiatinagua del popolo Esse-Ejja ne sopravvivono cinquecento, rimasti isolati fino all’ inizio del XX secolo quando giunsero le spedizioni per tracciare il confine nel territorio amazzonico boliviano e peruviano, negli anni cinquanta cominciarono i contatti con i missionari e le comunità di Ese Ejja iniziando un costante rapporto che fu devastante per le epidemie di malattie sconosciute portate dai coloni, il resto si disperse nelle grandi regioni fluviali del Beni e Madidi, lasciando in parte vita e cultura tradizionali. Sempre nel Beni tra i territori lacustri del rio Iténez e lungo i sui fiumi Baures e San Simón, vivono oltre duemila Itonama, parte anche tra i centri di Magdalena, San Ramón e Huacaraje, nel XVIII secolo erano oltre seimila, decimati dalle malattie portate dai coloni, una parte assimilati e molti ridotti in schiavitù. Quelli che ne sono rimasti vivono come i loro vicini meticci, praticando un’agricoltura di sussistenza e allevando qualche capo di bestiame. Delle comunità di Itonamas tra Iténez e Mamoré ne rimangono meno di quattrocento più legati a vita e tradizioni originarie, un tempo divisi nelle tribù Saramo e Machoto che parlano la quasi estinta lingua Itonama o Saramo. Lungo e oltre il confine brasiliano del
Pando si trovano comunità famigliari in villaggi dispersi poco meno di duecento Manchineri che in territorio boliviano sopravvivono lungo il fiume Acre e in quello brasiliano circa cinquecento nella limitrofa regione meridionale dello stato di Acri, tradizionalmente cacciatori, pescatori e raccoglitori seminomadi, non sono stati convertiti dalle missioni, noti anche come Maxinèri , li si trova con le loro canoe sul fiume per trasportare persone e merci tra le rive boliviana e brasiliana. Sempre nel territorio amazzonico del Pando nella comunità di Puerto Yaminahua rimangono una cinquantina di Yaminawa e pochi altri nei limitrofi territori peruviano e brasiliano, rimasero fuori dal sistema delle riduzioni missionarie coloniali, ma travolti anch’ essi dall’ arrivo dei coloni per le piantagioni di caucciù, furono spinti nella foresta meno accessibile dove sono riusciti a sopravvivere mantenendo vita e cultura tradizionale. Chiamati anche Jaminawá, in gran parte diffusi nel territorio brasiliano, qui si sono unificati nel Consiglio del popolo Yaminahua governata da un capo tushawa, fondando recentemente la Central Indígena de los Pueblos Originarios de la Amazonía de Pando nel centro di Cobija assieme ai Machineri vicini della zona di Puerto Yaminahua e le altre comunità che vivono nello stesso territorio dei Tacana. Nella regione Mamorè del Beni rimangono vari piccoli villaggi di Joaquinian in gran parte convertiti dai missionari ed adeguate alla lunga vicinanza con i bianchi e meticci, pur mantenendo molte tradizioni, le comunità che vivono tra San Joaquín e Puerto Siles sono state emarginate dal loro territorio originale e l’ accesso alle risorse naturali, mentre hanno meno difficoltà quelle tra i fiumi Mamoré e Machupo, ma anche la ristretta zona è deforestata dai palmiteros boliviani, sottratto per allevamenti e frequentato da mercanti brasiliani.
Proseguendo nel Beni tra i territori Moxos, Marbán,Cercado, Ballivián e lungo il rioMamorè , noti anche come Moxo Ignaciano si trovano i Mojeño che più degli altri furono evangelizzati dalle misiones gesuite nel periodo coloniale, così come gli oltre quattromila Cayubaba che popolano il territorio del Yacuma poco più a nord con il loro villaggi di agricoltori, seguiti dalle comunità Cavineño o Kavine, depositari dell’ antico idioma in via di estizione della lingua Cavineña diffusa nel territorio amazzonico settentrionale boliviano, simile alla lingua Araona parlata in alcuni villaggi nella foresta dal poco più di un centinaio di Araonas. Meno di duecento rimangono isolati e altri seicento più accessibili di quelli che erano i temuti guerrieri Sirionó o Miá che popolavano il Beni orientale e il Santa Cruz nord occidentale nelle comunità tribali Tirinié , Yand, Ñiose, Qurungua e Chori, spinti dall’ invasione dei coloni nella foresta. Sempre nel Beni tra i territori di Cercado e San Javier da secoli si trovano i Canichana di origine andina qui rifugiati e rimasti in circa settecento che parlavano l’ ormai estinta lingua Kanichana, i Tsimané noti anche come Chimane, dal nome della misione gesuita che tentò di evangelizzarli a metà del XIX secolo Chimán, che sopravvivono di caccia e agricoltura riuniti come Territorio del Consejo T’simane nella riserva di Pilón Lajas. Dove il rio Mamore attraversa il territorio di Siles sopravvivono centoventi Più o Iténez di lingua Chapakura, tra l’ovest della regione di Cochabamba in quella amazzonica di Carrasco era il territorio degli Yuki, lasciati nelle mani dei missionari interessati solo a convertirli senza considerare il loro secolare rapporto con l’ambiente. Dopo le devastazioni nel periodo dello sfruttamento per il caucciù furono contattati dai missionari fondamentalisti americani che, oltre al proselitismo religioso, cercarono di assimilarli ad una mentalità totalmente estranea e opposta alla loro cultura tradizionale, divenendo oggetto di traffici. Chiamati anche Yuqui o Bia, di quel popolo anch’ esso devastato ne sopravvivono duecentocinquanta in gran parte concentrati nella comunità isolata di Mbyá Recuaté ed alcune famiglie rimangono incontattate nella foresta, considerata tra le popolazioni indigene più vulnerabili. Tra i territori boliviano e peruviano vagano nomadi quel che rimane dal loro sterminio gli ultimi Nahua, i pochi che li hanno visti in passato li descrivono come guerrieri nudi e dipinti con capanne temporanee i sulla riva dei fiumi e sembra che i pochi sopravvissuti si muovono lungo il fiume Mapuya inavvicinabili per la loro bellicosità, mentre alcuni si rifugiarono nel territorio amazzonico peruviano del parco Manu dove sono chiamati anche Yora. Si sa poco anche degli isolati Toromona che sopravvivono nel Beni ove si sono rifugiati nel parco Madidi anch’ essi in via d’estinzione come una cinquantina nelle comunità di San Borjano e Maropa di stirpe Tacanan e lingua Reyesano. Nel Bajo Paraguá della regione di Santa Cruz sopravvivono una settantina di Guarasugwe del popolo Guarani che migrarono in Bolivia alla ricerca di terre per la caccia, raccolta ed agricoltura, decimati dalle malattie portate dai coloni che ne occuparono i territori tradizionali per le piantagioni di caucciù. Non furono mai raggiunti dai missionari, conservando le antiche tradizioni mondo fino a quei contatti che, come gran parte delle popolazioni indigene, li devastarono portandoli quasi all’ estinzione. Proseguendo nel Santa Cruz si trovano i villaggi degli Izoceño o Chanés che subiscono un irreversibile e violento processo di assimilazione sradicandoli dalla vita e cultura tradizionale, come gli Ayoréode delle comunità Morotoco, Moro e Zamuco noti anche come Ayoreo nonostante i tentativi disperati di resistenza, mentre si suppone l’assimilazione da altre popolazioni. dei nomadi che vivevano in quel territorio. Nella stessa regione si trovano le comunità dei Camba chiamati anche Käambá in gran parte convertiti fin dall’ arrivo delle missioni gesuite come gli oltre quattromila Moxeños di origine Guaranì, da qui si scende in quello che era il territorio dei Chiriguanos de Guaranì boliviani noti come Guaraní orientali che in questa regione sono la popolazione tradizionale più diffusa assieme a quella di poco inferiore Tarapecosi o Chiquitano. Come gli altri i territori originari del popolo di stirpe Tupi Guaranì noti come Guarayo sono stati occupati dagli allevamenti e le concessioni minerarie che stanno invadendo le poche terre rimaste dove sono stati spinti, continuando a conservare alcuni aspetti della vita e cultura tradizionali anche con l’acquisizione di quelle introdotte dai coloni e dopo la conversione al cristianesimo, varie comunità di Guarayos, come altre popolazioni indigene, hanno prodotto una sorta di sincretismo spirituale mantenendo in parte l’ antico animismo sugli spiriti che popolano l’ambiente e luoghi sacri. Dalla regione Santa Cruz si lascia la foresta della selva alta verso le immense pianure del Gran Chaco che da quello boliviano si stende tra i territori argentino, paraguayano e brasiliano, attraverso la regione meridionale del Chuquisaca. I Guaranì definivano selvaggi Guaykuru gli indigeni che popolavano parte del Chaco e che ne presero nome come Guaycuru, fieri e bellicosi hanno resistito al dominio dei coloni spagnoli e alla conversione missionaria fino all’ inizio del XX secolo e ne rimangono vari villaggi anche nel territorio boliviano. Dalla città di Yacuiba si scende nell’ estremo sud boliviano nel dipartimento di Tarija lungo il confine argentino dove si trovano le comunità dei poco meno di duemila Weenhayek lungo l’ alto corso boliviano del fiume Pilcomayo di stirpe, cultura e tradizioni Mataco o Wichí, diffusi in gran parte oltre i confini paraguayano e argentino come i Nivaclé che qui si trovano in alcune minuscole comunità assieme ai piccoli villaggi dei i Qom o Toba , tutti travolti dallo sfruttamento minerario e petrolifero della regione. Sempre in territorio boliviano si trovano circa centoventi Tapiete in gran parte attorno al centro di Samaihuate dove vengono saltuariamente impiegati nell’ agricoltura e allevamento quando tornano dal Chaco per la pesca che era la loro attività tradizionale, resa difficile per l’ inquinamento del fiume Pilcomayo contaminato dai i rifiuti delle miniere che minaccia seriamente la salute degli indigeni. Nell’ estremità orientale boliviana alcune comunità di Mbayá diffusi nei territori paraguayano e brasiliano, un tempo nomadi che, con i cavalli importati dagli spagnoli dall’ inizio del XVII secolo, hanno minacciato i coloni con incursioni, commerciando con i vicini Payaguá che popolano le terrei lungo il fiume Paraguay e sottomettendo altre popolazioni indigene come i Chané di stirpe Arawak , tutti anch’ essi finiti travolti dall’avanzata dei coloni nei territori del Chaco alla ricerca di giacimenti minerari.