Attraverso la Bolivia
Attraverso la Bolivia dagli altipiani andini tra grandiosi scenari e le comunità indigene, gli antichi siti delle culture precolombiane e le città coloniali, dalle foreste che si stendono nel territorio amazzonico ove sopravvivono gli ultimi indios che lo popolavano fino alle pianure del Gran Chaco, i più suggestivi itinerari tra gli ambienti, popoli e cultura della storia boliviana .
Titicaca
Sull’ itinerario di un’antica via incaica dal Peru corre la strada che parte da Cuzco, al centro della Valle Sacra degli Incas, scendendo verso gli altipiani della Bolivia, seguita dai conquistadores dopo che Pizarro ne travolse il vasto impero. Quando l’ ho percorsa la prima volta delle carovana di lama ne rimanevano ben poche, sostituite dagli autobus che trasportano gli indios andini tra i centri sparsi sull’arido altipiano, all’ epoca la linea Morales Moralitos era sinistramente ribattezzata Mortales Mortalitos per gli incidenti che a volte funestavano il percorso sulle strette vie dalle ripide scarpate. La selvaggia desolazione dell’ altipiano si interrompe improvvisamente con l’intenso blu del lago Titicaca, sullo sfondo si stagliano le vette innevate della cordigliera in uno degli spettacoli più suggestivi delle Ande, si stende vasto e magnifico disseminato da una cinquantina di isolette e alimenta il fiume Desaguadero attraversa gli altipiani meridionali per sfociare più a sud nel lago Poopó che in epoche remote formava un immensa laguna assieme a quello che gli indigeni chiamavano Titi-Kaka. Tra il territorio peruviano e boliviano transitano uomini muti dal volto scavato intontiti dalla coca e donne gonfie nei loro vistosi costumi con l‘inseparabile bombetta e che spesso nascondevano sotto le ampie gonne cose di contrabbando per i controlli a Desaguadero sulla frontiera. Dall’ altra parte boliviana si trova la cittadina di Copacabana frequentata dai devoti indios e mestizos per il suo santuario che ne prende nome con la Basilica di Copacabana fondato nel XVI secolo consacrato a Nuestra Señora la Candelaria de Copacabana con la veneratissima immagine per il culto della Virgen Candelaria diffuso in tutti i paesi sudamericani animata dai pellegrinaggi e le cerimonie della Semana Santa. Lungo le rive del lago s’ allunga la penisola di Taraco con l’ omonima cittadina dove gli indigeni convergono per le cerimonie e le danze tradizionali della Morenada, non distante si trovano i resti del centro cerimoniale preincaico di Chiripa e l’altro sito di Kolata Quenacache a Iwawi , proseguendo sulla costa lacustre quelli Kala Uyuni, Pumani e Achachi a Coacollo, molti dei reperti e ceramiche rinvenuti in quei siti sono conservate nel museo di Taraco. Le sponde frastagliate del Titicaca sono coperte di vegetazione e dagli alti giunchi di totora ove sciamano gli uccelli, qui sono sopravvissute alcune comunità della più antica popolazione della regione, chiamata dagli altri indigeni andini come selvaggi e primitivi Urus, ma che avevano fondato una loro cultura con il suo centro centro cerimoniale tra montagne nella serrania sacra di Uru Uru. Le comunità indigene del Titicaca discendenti dell’ antico popolo Uru si definiscono Kot’Suns o Gente del Lago considerato come pueblo original Uchusuma, nella mitologia il primo comparso nel mondo e di origine sovrannaturale, ma per le altre popolazioni erano solo miserabili sudditi di un’ arida regione del vasto impero incaico Tawantisuyu, emarginati e tanto poveri da essere esentati dai tributi. Nell’ antica sacralità del Titi-Kaka emerge l’ isla del Sol dai colli terrazzati con resti incaici di edifici, la strada e il santuario dal tempio consacrato al dio solare Inti, sacra alle comunità indigene che la popolano, come l’ isola del Sole è centro della mitologia andina l’ altra chimata dgli Aymarà Koat che conserva anch’essa resti dello stesso periodo e nota come isla la Luna. Al largo della sponda meridionale l’ isola di Suriki, poco distante gli indigeni chimano Kalauta o casa di pietra quella di Quehuaya e nella tradizione Aymarà è la città eterna o Wiñay Marka l’altra vicina isla Pariti. La tradizione indigena trasmessa per generazioni ricorda che Il Titicaca e le sue sponde è da epoche remote popolato dagli Uros che ne traggono l’ esistenza con la pesca e i poveri commerci con le altre popolazioni, alcune comunità nelle islas flotantes di canne che galleggiano nel lago e da sempre con quella stessa totora intrecciano le loro imbarcazioni che sembrano scivolare leggere tra le isole galleggianti, le sponde del Titicaca e le più grandi isole naturali come quella di Amantanì o Kantuta ,dal nome della pianta lacustre che vi cresce, e la più nota Taquile. L’antica organizzazione sociale è fondata su quattro clan divisi in piccoli villaggi in parte nelle isole Urus, ognuno con i propri sacrari segreti e i tumuli che rappresentano gli spiriti Mulku dove vengono depositate offerte cerimoniali e sacrificati animali qui, come per altre popolazioni indigene andine dei Figli del Sole , la cattolicizzazione non ha dissolto le antiche tradizioni e sopravvivono le credenze nei Mulku, oltre che nei misteriosi spiriti Achachila protettori del clan e della tribù anche tra queste isole degli Urus. Qui, come in tutte le regioni che si stendono tra le montagne e gli altipiani delle Ande, le popolazioni indigene dalla religione Inca con la sua vasta mitologia in un sincretico culto con la cristianizzazione, hanno ereditato la venerazione e il culto per la dea della terra Pachamama a sua volta disceso da più antiche culture preincaiche fiorite nei millenni. in Sud America.
Tiahuanaco
Nella mitologia andina il Lago del Puma o Titi-Kaka era il centro del modo ove emergevano le due isole trasformate nel Sole e la Luna, qui fu creata la prima stirpe dei giganti di pietra, poi l’ umanità e la stirpe dei fondatori della cultura Tiahuanaco che ha lasciato i suoi suggestivi resti poco oltre il Titicaca. Con il suo regno dominò gli altipiani settentrionali boliviani fino alla costa peruviana e quella settentrionale cilena, la capitale con il su centro sacro fu fondata nel II secolo a.C., ma l’ edificazione monumentale iniziò nella seconda metà del IV secolo d.C. quando raggiunse l’ apogeo con grandi templi ed edifici religiosi, statue, stele incise, sculture e i maestosi portali decorati. Ne rimangono i suggestivi resti nel sito di Tiwanaku, divenuta potente città dalla dal grande centro sacro che ha lasciato i suoi nonoliti incisi con raffigurazioni mitologiche come la Porta Luna e quel che rimane dalla sua rovina della Puerta del Puma Pumapunku. Tra tutti troneggia enigmatica la Puerta del Sol come gli spagnoli chiamarono la suggestiva Inti Punku finemente incisa dalla rappresentazione ideografica con al centro il il Sole Piangente che raffigura la divinità suprema chiamata Dio bastoni che stringe nelle mani, simile alle rappresentazioni della divinità felina fondamento religioso della cultura di Chavìn fiorita nella regione andina peruviana più settentrionale. Interpretato anche come un grande calendario solare ancora avvolto nei misteri, il suggestivo Sole piangente dall’estremità dei raggi pendono teste di giaguaro, stringe due bastoni di comando decorati con altre teste di felini e condor, sull’enigmatico volto scorrono copiose lacrime mentre lo sguardo è volto sullo sconfinato altipiano, ispirando il mito andino della creazione comune alle altre culture precolombiane come la loro divinità suprema Viracocha che ancora anima l’ antico spirito indigeno.
La regione di La Paz
Dalle suggestioni di Tiahuanaco si continua poco ad est verso il maestoso massiccio dell’Illi man o Aquila Dorata come gli indigeni chiamano l’ Illimani di oltre seimila metri che si staglia all’ orizzonte dalle vette innevate contrastando magnificamente con l’ intenso blu del cielo, tra i villaggi indigeni andini degli Aymarà che popolano gran parte dell’altipiano. Il percorso segue l’ antica via incaica presa dai conquistadores che nel XVI secolo fondarono Nuestra Señora de La Paz, divenuta la capitale più alta del mondo come La Paz che si è estesa dalla seconda metà del secolo scorso come una vasta metropoli fino alla vicina città di El Alto. Della sua più antica storia rimane il centro del Casco Viejo che dirama dalla Plaza Murillo con gli edifici coloniali che affacciano sulle vecchie vie e case colorate su vicoli in un tortuoso labirinto, animato dalla più alta percentuale di indios andini tra tutte le città maggiori degli altri paesi sudamericani, in gran parte di antica stirpe Aymarà con i loro costumi tradizionali che mantengono parte della loro antica cultura, manifestazione più singolare sono le immagini un tempo un po’ inquietanti e divenute attrazione del Mercado de las Brujas dove, nella variopinta animazione degli indios nei loro costumi, le streghe Brujas esercitavano misteriose facoltà magiche e varie pratiche sciamaniche assieme alla tradizionale medicina andina con i suoi rimedi tra piante, erbe essenze e altre cure,le pratiche sciamaniche esoteriche dell’ Inka Rly e le offerte cerimoniali Haywarisqa note anche come despacho, oltre amuleti che scacciano gli spiriti e feti di lama dalle recondite propietà, derivate dall’ antica tradizione degli iniziati nella conoscenza o Callahuayas ereditata dall’ antica cultura Kallawaya. Oltre ai vari quartieri e a ricchezza coloniale del Casco Viejo, tra edifici, chiese e palazzi di La Paz sulle vie che diramano dal Mercado de las Brujas animate dalla tradizione degli indigeni nei loro costumi ciò che più rappresenta l’ anima di questa città e rimane più impresso nella memoria, almeno così la ricordo. Poco fuori la capitale ci si incanta nella Valle de la Luna in un labirinto di profonde gole tra gigantesche guglie di arenaria ed argilla erose dai venti dai magnifici cromatismi in un paesaggio lunare dalle suggestive immagini che variano dai toni chiari al vermiglio fino al viola per i diversi minerali di ogni guglia e scogliera in composizioni di colori e impressionanti illusioni ottiche sui colli erosi. Non distante si trova l’ antico vulcano spento che da lontano appare come un grande dente di roccia e chiamato la Muela del Diablo modellato dalle erosioni che splende d’ ocra con la luce radente, a molti la suggestiva formazione della Muela appare anche come un dinosauro pietrificato dalla cima piana che la tradizione indigena vuole vi fosse un antico altare dove si celebrano riti cerimoniali agli spiriti e le divinità Achachilas in agosto per auspicare il raccolto. Sempre nei pressi della città si stende la Cordillera Real con Il Ponte di venti o la fredda via come gli indigeni chiamano la maestosa montagna con il ghiacciaio del Chacaltaya. Continuando per la Cordillera Real a sud est, ai margini del massiccio Kimsa Krus o Tres Cruces nella cordillera di Quimsa Cruz, sulla sponda sinistra del Río Choquecota, si trova la piccola cittadina di Palca con la gola che ne prende nome come Canyon de Palca dalle suggestive formazioni rocciose che appaiono come obelischi e guglie di cattedrali gotiche verso il centro di Ovejuno e il territorio chiamato Cumbre de las Animas dove continua il cesello delle erosioni che formano suggestive colonne. Riprendendo la via degli altipiani tra maestosi paesaggi desolati a nord della regione di La Paz attraverso la provincia Abel Iturraldecon al centro la cittadina di Ixiamas , e poco distante tra rilievi e vallate coperte da foreste il sito incaico di Tequeje sull’ omonimo fiume in un ambiente suggestivo, noto anche come la Fortaleza Inca di Ixiamas. Dalla zona sud occidentale della capitale inizia la lunga via sulla strada chiamata Ruta 1 che percorre il territorio andino boliviano fino a quello argentino, passando nell’ omonima provincia per la cittadina di Patacamaya, nei pressi della comunità di Ancaroma i resti dei sepolcri precolombiani di Huayllani su un colle e proseguendo l’ altra antica necropoli indigena aymarà di Amaya. La via andina poco ad ovest attraversa il territorio che prende nome dal suo centro di Sica Sica, continuando verso sud nei pressi di una comunità indigena Ayamaya, si trova la Ciudad de las tumbas come è chiamata la necropoli di Kulli-kulli fondata da antenati degli Aymarà nel periodo di Tiwanaku. Dalla limitrofa provincia di Aroma proseguendo sull’ altipiano occidentale nella si entra nel dipartimento che prende nome dal suo centro di Patacamaya , passando per l’ antica necropoli indigena con le tombe della pampa a Joko, a sud ovest si apre la Laguna totoral de San Juan popolata da una gran varietà di uccelli acquatici nota come Sirka e dalla cittadina di Collana si raggiunge la vicina Huaca sacra alla Madre Terra Pachamama per le comunità Aymara nel cerro di Iquimani.
La via delle Yungas e l’ Amazzonia
Lasciata La Paz ad est della capitale si trovano le province limitrofe nel territorio nord orientale note come paceñas da dove parte il vertiginoso percorso che tutti qui chiamano camino mortal, dalla stretta e tortuosa via a strapiombo che la rende tra le più pericolose al mondo, noto anche come Camino de la Muerte è la tormentata via delle Yungas scendendo per una cinquantina di interminabili chilometri nella valle attraversata dal rio Quri Wayq’u dove si trova il centro di Coroico in un suggestivo territorio dominato dall’imponente cerro di Uchumachi. Partendo dalla cittadina di Ventilla la strada sale a quattromilaseicento metri nel valico andino di La Cumbre da dove si può proseguire a piedi nel suggestivo ambiente andino percorrendo il sentiero di Takesi tracciato in epoca incaica che scende ai duemiladuecento metri nel centro di Chojlla, mentre da La Cumbre la strada scende vorticosamente di oltre tremila verso le yungas da dove si può continuare nella vasta e magnifica regione dell’ Amazzonia Boliviana tra i territori del Beni e Santa Cruz de la Sierra, dove si stendono rilievi e vallate coperte dalla vegetazione fino ai fiumi e le lagune nella foresta tropicale dalla ricchissima flora e fauna amazzonica, in parte protetta da riserve naturali e parchi che salvaguardano questo grandioso ambiente unico ancora non travolto dal disboscamento per gli allevamenti e dal selvaggio sfruttamento delle risorse minerarie. Tra questo territorio e le Yungas si sono moltiplicate le piantagioni di coca che le popolazioni andine tradizionalmente masticano per resistere al duro clima e le condizioni di vita nelle grandi altitudini, ma che è divenuta la coca di uno dei più grandi affari criminali al mondo anche qui dominato dalle potenti bande boliviane del narcotraffico , i cocaleros che controllano le piantagioni, le milizie armate e le loro leggi che ho incontrato lungo i fiumi sul confine con il Brasile e quelli del territorio amazzonico del Peru. Gran parte di questo ambiente non è stato ancora travolto dall’ avanzata di allevamenti, miniere, coloni, avventurieri e le altrettanto devastanti vie della coca, dove sopravvivono le comunità degli indios amazzonici, decimati, scacciati e travolti dalla violenta cupidigia di un mondo estraneo.
Santa Cruz de la Sierra
Scendendo per il territorio sud orientale del Santa_Cruz la regione andina declina magnificamente tra suggestivi paesaggi fino alle pianure e le foreste più meridionale provincia di Chiquitos ricche di flora e fauna amazzonica dove dalla fine del XVII e per il successivo sorsero le missioni gesuite del Chiquitos. Verso la regione tropicale più orientale si trova il parco con la vasta riserva di Noel Kempff e ad est si aprono le grandi pianure alluvionali del Pantanal che si stendono nel territorio brasiliano, in quello boliviano sono protette dal vasto Parque Nacional y Área Natural di Otuquis e verso il territorio del Gran Chaco il Parque Nacional e Area Natural de Manejo Integrado con la riserva di Kaa-Iya . Tra i monti della provincia Manuel María Caballero di trovano i resti della fortezza incaica di Pucara e le più antiche pitture rupesti di Almacigar, passando dalla cittadina di Comarapa nell’ intenso verde della foresta splendono i riflessi smeraldo della Laguna Verde. Nelle pianure di Grigotà seguendo il corso del il fiume Guapay ribattezzato Rio Grande, i conquistadores spagnoli vi giunsero nel 1560 e il capitano Ñuflo de Chaves fondò il centro di Santa Cruz de la Sierra che tre anni dopo finì distrutto da una rivola indigena e alla fine del XVI secolo sul fiume Pirai non distante venne ricostruito divenendo la città di Santa_Cruz. Nella regione popolata da comunità indigene, quando i gesuiti giunsero a Santa Cruz de la Sierra alla fine del XVII secolo fondarono le reducciones delle cittadelle indigene sorte attorno alle missioni della Chiquitania che hanno lasciato i loro resti nella foresta a San Xavier, San Rafael de Velasco, San José de Chiquitos, San Miguel de Velasco, Concepción e Santa Ana de Velasco come le affascinati e suggestive Misiones dei Chiquitos. Fiorita prima sulle piantagioni ed allevamenti, poi per le miniere, la città di Santa_Cruz è divenuta una metropoli che conserva il suo centro coloniale nel casco viejo con gli antichi quartieri, piazze e vie ove affacciano edifici, palazzi, chiese e la Catedràl Metropolitana, poco distante nell’ omonima cittadina il venerato Santuario di Cotoca consacrato alla Purísima Virgen de Cotoca. Tra i monti a sud ovest si incontra la cittadina di Samaipata nella provincia di Cordillera popolata da varie comunità indigene, nei pressi il sito preincaico noto come il Fuerte di Samaipata, proseguendo si entra per il territorio che prende nome dalla cittadina di Vallegrande sorta all’ inizio del XVII secolo come avamposto spagnolo contro le incursioni dei bellicosi indigeni di stirpe Guaranì della regione sud orientale chiamati Chiriguanos. Dimenticata nei secoli successivi Vallegrande e il suo aspro territorio montuoso divenne lo scenario dell’ eroica guerrilla condotta con pochi seguaci dal protagonista della rivoluzione cubana Che Guevara, braccato dai militari boliviani con un contingente rangers e agenti della Cia statunitense per finire catturato e ferito nellaquebrada del Yuro l’ 8 ottobre del 1967, per poi essere assassinato il giorno seguente in una faticsente scuola nel villaggio di La Higuera nei pressi di Villagrande dove fu portato ed esposto brutalmente il corpo del Che.
Cochabamba
Gli indigeni Aymarà chimavano Quchapampa Jach’a Suyu e i Quechua Quchapampa Suyu Il vasto territorio di Cochabamba che da nome alla sua capitale, esteso tra le Ande e le vallate delle Yungas fino alle pianure tropicali verso la regione amazzonica. In epoca preincaica la regione era dominata dal popolo dei Qulla che sottomisero le altre popolazioni della regione fondando ed espandendo il loro regno di Qolla con i successori chiamati Zalla e Khori fino al XV secolo quando fu invaso dagli Inca che lo presero nel loro vasto impero Tahuantinsuyu divenendone una provincia meridionale del Qullasuyu. Dopo che i conquistadores spagnoli travolsero l’ impero incaico, la regione fu dominio del Virreinato coloniale del Perù comprendendo l’ intero territorio boliviano come Alto perù o Charcas diviso nelle intendencias di La Paz, Cochabamba, Potosì e Chuquisaca di La Plata divenuta poi Sucre. A nord si stende Il territorio del Chapare dai suggestivi ambienti che scendono dai contrafforti andini alle yungas dalla ricca flora e fauna fino alle pianure coperte da lussureggianti foreste tropicali popolate da una gran varietà di fauna amazzonica, centro ne è la cittadina di Villa Tunari ai piedi delle montagne tra i fiumi San Mateo ed Espiritu Santo, verso le immense pianure amazzoniche che si estendono a nord. Poco fuori tra gli splenditi paesaggi sulla Cordillera Oriental e le pianure si stende il parco Machia dalla generosa flora e fauna selvatica, da qui si raggiunge il vicino parco con la riserva naturale di Carrasco dove si incontrano le praterie andine con le caldi valli delle yungas, la foresta montana e quella pluviale popolate da una fauna comune ai vari ambienti, oltre a varie specie di uccelli, aquile, arpie e guáchari, molti mammiferi, cervi andini taruca, i rari orsi dagli occhiali jucumari, alcuni puma e giaguari. Anche qui come in altre riserve si sono rifugiate popolazioni indigene come gli Yuracaré che cercano di conservare la loro indipendenza e tradizioni in ques’ ambiente dominato dalla natura come l’ altro parco Amborò verso la regione di Santa Cruz de La Sierra e la vasta riserva dichiarata iTerritorio Indígena y Parque Nacional di Isiboro Sécure. Attraverso la provincia di Quillacollo, passando per le comunità indigene e la cittadina di Tiquipaya, si scende dove i Quechua chiamavano Quchapampa Il luogo ove sorse un’ avamposto spagnolo fondato dal capitano Jeronimo de Osorio nel 1571 divenuta cittadina tre anni dopo con Sebastian Barba de Padilla che la chiamò Villa Oropeza per volere del vicerè Francisco Toledo e solo nel 1786 divenne la città di Cochabamba. Per l’ intero periodo coloniale Cochabamba si estese nei suoi quartieri centrali che in parte ne conservano la storia tra piazze, edifici e chiese, popolandosi di varie comunità indigene della regione come le si trovano nei quartieri più popolari , dopo l’ indipendenza del 1825 e per tutto il secolo successivo divenenne una delle metropoli boliviane come la si trova a guardarla da est salendo sul colle della Serranía San Pedro dove si erge la colossale statua del Cristo la Concordia, terminata nel 1994 come tra più alte statue al mondo e da allora offre la vista più spettacolare sulla città con le grandi braccia aperte del gigantesco Cristo che sembra proteggerla. Scendendo nel cuore della città si trova la piazza 14 Septiembre dedicata alla data dell’ indipendenza precedentemente chiamata Plaza de Armas dove affacciano i vecchi edifici coloniali e la la cattedrale metropolitana di San Sebastian edificata nel XVIII secolo su chiese precedenti risalenti alla fondazione. Più a nord est nei pressi dell’avenida Rafael Urquidi si trova la plazuela Cobija dall’ aspetto coloniale come le altre piazze più antiche, tra la fine del Avenida Ballivián e il ponte di Cala-Cala, nella zona nota come El Prado, piazza Banderas e poco a sud tra le vie 25 di Mayo e San Martín la plazuela di Colòn . nei pressi dell’avenida Ramón Rivero l’ ampia e circolare piazza Quintanilla con i suoi giardini. Tra i grandi edifici coloniali il settecentesco Convento di Santa Teresa con il suo museo, , a nord ovest del centro nella zona di Tupuraya Il pueblito di Tupuraya è l’antico cuore indigeno della città, ad est nel quartiere di Queru Queru il sontuoso palazzo Portales del barone Simon Patigno, continuando il Museo Archeologico la casa della Cultura, l’animatissimo mercato popolare di La Cancha tra i più grandi dell’America Latina e il ricco giardino botanico di Cardenas . Nella parte meridionale della città sul colle di San Sebastian il monumento in bronzo alle eroine della guerra di indipendenza ed uscendo poco a sud si lasciano i quartieri periferici verso la laguna Alalay. A sud est si stendono le calde vallate nella provincia di Mizque con le cittadine di Mizque e Aiquile, proseguendo per la valle di Cochabamba nell’ omonima provincia si trova la cittadina di Quillacollo con il venerato santuario della Virgen de Urqupiña. Sulla vecchia via per Santa Cruz de la Sierra passando per la cittadina Pocona si trova la Ciudad Inca o Inka Llaqta a Incallajta tra i fiumi Fuerte Huayco e Pajcha Huayco che fece edificare sovrano inca Tupac Yupanqui come presidio nella provincia imperiale del Collasuyo, della cittadella rimangono le mura, i resti della torre, il sacro orologio solare intiwatana, la fortezza Kallanca ,vari edifici con un Ajllawasi o Casa dei Prescelti, terrazze e silos kóllkas.
Oruro
Scendendo a sud ovest gli indios sopravvivono in povere capanne pascolando lama e strappando alla terra poche coltivazioni, adattati al clima rarefatto dall’altitudine sulla cordillera boliviana delle Ande dove continuano un’ esistenza millenaria aggrappati tenacemente a costumi e tradizioni dalle origini perse nella storia. Nella meridionale regione di Oruro si continua tra le comunità indigene trovando il maestoso massiccio innevato del Sajama che si eleva per oltre seimilacinquecento metri racchiudendo il suo antico vulcano, dalla laguna Wañaquta su una delle pendici dellla montagna si stende il parco di Sajama, da una parte le due cime innevate dei Payachatas e verso Tambo Quemado i resti incaici di Monterani. Proseguendo si trovano le alti torri quadrate dei sepolcri precolombiani chullpas, sulla via per Turco le grotte di Llanca dalle pareti dipinte di nero, rosso, ocra e bianco che raffigurano animali andini e personaggi con mandrie di lama, nei pressi un colle ove si praticano antichi riti preincaici i resti di una fortezza inca. Sempre nei pressi della frontiera Cilena, la cittadina di Curahuara meglio nota come Curahuara de Carangas dalle antiche tradizioni che gli Aymarà chiamano kori bara k’araa ancas, tra gli edifici coloniali la suggestiva chiesa di Curahuara con le mura e le volte interne affrescate e decorate da dipinti di scene bibliche, nota come la Cappella Sistina andina opera di anonimi artisti tra il XVI e il XVIII secolo. Dal maestoso nevado di Sajama verso il territorio cileno il vasto altipiano omonimo custodisce il mistero delle Linee Sajama tracciate dagli indigeni nel I millennio a.C. forse per sacri pellegrinaggi nel vasto territorio ove rimangono resti di santuari huacas, necropoli chullpas e villaggi efa. Scavate a migliaia con precisione per esporre il terreno più chiaro in lunghissime linee visibili solo dall’ altro nella loro vastità geometrica simili alle altrettanto grandiose e più note che accompagnano gli enormi disegni della cultura Nazca fiorita nella più settentrionale regione costiera peruviana. Lasciando il territorio del Sajama continua la suggestione andina dell’ arido e grandioso altiplano che qui prende nome di Santo Tomás, su una vecchia pista di minatori corre la via che porta al lago Uru-Uru, in gran parte Si è formato dalle acque impetuose che scorrono da nord del fiume Desaguadero, come l’ altro grande lago salato, chiamato in epoca incaica Chacamarca e dagli indigeni Aullagas, noto Poopò collegato dal rio al settentrionale Titicaca che da tempo sparisce per poi ricompare dal blu intenso che contrasta con il rugginoso colore dell’atipiano alimentando quello che è ormai noto come il mistero del Poopò. In questa regione tra il II e il III secolo d.C. sorse la cultura preincaica detta Wankariana e fiorita nei successivi dominando gli altipiani orientali del lago Popò fino al XV secolo, ne discendono gli indigeni di allevatori che ancora commerciano con le loro carovane di lama come gli antenati. Scendendo per gli altipiani andini nel 1585 Don Francisco de Merano giunse in un villaggio indigeno chiamato Ururu e lo ribattezzò San Miguel de Oruro, venti anni dopo ne sorse la città di Oruro, verso la fine del XVIII secolo Iniziò la rivolta contro il dominio coloniale e nel 1826 con l’ indipendenza venne fondato il departamento di Oruro fiorito sulle miniere di stagno, ma dopo la crisi mineraria l’industria estraativa decadde vivendo delle piantagioni con la crescita di quelle per la coca e gli allevamenti di alpaca e lama. La città si stende dominata dal colle El Cerrato noto come El Corazón de Jesús e dal più vicino Faro de Conchupata la si vede diramante dal centro coloniale più antico, scendendo nel cerro Pie de Gallo in una vecchia miniera è stato ricavano il museo minero di Socavòn con le inquietanti statue del dio della montagna El Tío dall’aspetto di demone dove i minatori recano offerte per il permesso di scavare nelle miniere e la protezione da incidenti, mentre la ricchezza mineraria della regione è esposta nel museo Geologico. Verso calle Baptista che parte dalla piazza centrale si trova il venerato Santuario della Virgen de Socavón con nei pressi il mirador dove si erge la moderna statua della Virgen de Socavon tra le più alte in Sud America. Tornando per il centro in Avenida España il ricco Museo antropologico Lopez Rivas con una vasta collezione di costumi, maschere e tradizioni indigene oltre ceramiche e mummie precolombiane, teschi ed impressionanti crani deformati, nell’ omonimo palazzo coloniale il ricco museo che espone l’ arte sacra di San Miguel. Su Calle La Paz affacciamo le botteghe artigiane di costumi e maschere per il più suggestivo evento che anima l’anima indigena della la città noto come il Carnaval de Oruro che culmina con le suggestive danze mascherate in costume note come l’ impressionante Diablada ispirata ad antichi culti dove il sincretismo con il cattolicesimo lega il diavolo cristiano con la divinità andina delle montagne Supay, allo stesso tempo vengono mimati i combattimenti tra gli indigeni e i conquistadores mascherati da demoni. Poco a sud est di Oruro si trovano le grotte nel luogo delle rocce come gli Aymara chiamano le grotte di Calacala con i graffiti e dipinti rupestri e nell’ omonimo villaggio a metà settembre giungono in pellegrinaggio le comunità indigene per le antiche cerimonie al tempio del Señor de Lagunas che nel sincretismo con il cattolicesimo si identificano con la festa della Exaltación de Santa Cruz.
Sucre
La regione meridionale del Chuquisaca , attraversata dai contrafforti andini che scendono verso il bacini amazzonico e della Plata, era popolata fin dall’ antichità dalle comunità indigene dei Charca, colonizzati dagli Incas verso la metà del XIV secolo e ne è rimasta la lingua quechua tra i discendenti che abitano i territori centro settentrionali. In quello meridionale tra le le province di Luis Calvo e Hernando Siles sono diffuse le comunità di Chané o Izoceño che vennero a lungo dominate dal popolo guerriero orientale di stirpe Ava Guaranì dell’ oriente boliviano, chiamato spregiativamente dagli Incas e poi dagli spagnoli Chiriguano, mentre loro si definivano popolo degli uomini o Ava Guaranì, noti anche come Guaranì del Chaco . Dopo la conquista del vasto impero incaico Tawantinsuyu, per dominarne la provincia meridionale del Qullasuyu Francisco Pizarro inviò i suoi conquistadores anche nel teritorio indigeno del Choke-Chaka ribattezzato Chuquisaca e nel 1538 il nobile Pedro Anzúrez marchese di Campo Redondo vi fondò la Ciudad de la Plata de la Nueva Toledo che divenne la capitale dell’ Alto Perù boliviano come era anche chimata la provincia del Charcas.La città dell’ argento spagnola, in onore dell’ eroe indipendentista Antonio José de Sucre ribattezzata Sucre, si stende sotto i colli di Sica Sica e Churuquella sull’ antico sito indigeno Yampara della cultura Charca, dal centro che conserva il vecchio coloniale con i suoi quartieri e vie ove affacciano edifici, palazzi, chiese e monasteri che ne fanno una delle più affascinati città coloniali boliviane fiorita sulla ricchezza mineraria della vicina Potosi. Oltre a centro amministrativo e giudiziario con la sua Audiencia de Characas, lo divenne anche culturale con l’ Universidad San Fracisco Xavier, lì Academia Real Carolina e il seminario di San Isabel de Hungria, dall’inizio del XVII secolo con l’ arcivescovado di La Plata centro religioso per tutti i territori orientali della colonia. Tra i palazzi e gli edifici religiosi più antichi della vecchia Sucre gran parte sono sorti dall’ epoca della fondazione per tutto il XVI secolo e il successivo in vari stili europei rinascimentale, mudéjar, gotico, barocco e neoclassico simili a quelli di Potosì, mentre i più recenti tra la fine del XVIII secolo e l’ inizio del IX conservano elementi precedenti adattati al neoclassico. L’ Iglesia de San Lázaro su calle Calvo fu edificata nel 1544 e della sua costruzione originale conserva le pareti e la cupola, i sontuosi interni barocchi con la pala d’altare dello scultore Juan Hernandez, mentre la cappella aperta dell’atrio venne fatta edificare nel 1790 da Juan Alejo Zelaya per indottrinare gli indigeni durante la Quaresima.Il Templo de San Francisco con la Basilica di Charcas è sorto su una più antica chiesa francescana fondata da Francisco de Aroca, nel 1581 fu eretta una nuova chiesa tra i due campanili dall’ unica navata con splendidi soffitti a cassettoni rinascimentali, mudéjar e barocchi. L’altare maggiore e le successive navate laterali sono scolpiti in oro, mentre la cripta della chiesa custodisce i sepolcri degli spagnoli che fondarono la città. Santo Domingo venne edificata anch’ essa nel XVI secolo dall’ Ordine domenicano su un terreno donato da Gonzalo Pizarro, ampliata e ristrutturata con portali, il più antico minore rinascimentale e quello triplo barocco con decorazioni mudéjar è l’ingresso principale. All’ interno varie pale d’altare barocche in legno intagliato e dorato, quella raffigurante San Domenico in rococò e l’altare maggiore neoclassica, da una parte la splendida e veneratissima statua che raffigura il Cristo del Gran poder . La Catedral Metropolitana de Nuestra Señora de Guadalupe, nota anche come Catedral Sucre con la sua basilica, fu consacrata nel 1552 in stile rinascimentale con successive aggiunte barocche fino ad essere completata nel 1712 come la si vede con il cinquecentesco portale manierista colonnato e quello barocco sul lato progettato dall’architetto Gonzales Merquete, il campanile con l’ orologio settecentesco e Il vestibolo circondato da una balaustra in pietra con la croce chiamata Rumi Cruz , l’interno in tre navate a volte di ispirazione gotica, estesa in cappelle adiacenti, la sala capitolare e sacrestie, e le cappelle adiacenti. La chiesa gesuita di San Miguel Arcangel ha uno dei campanili più alti della città, Il portale principale in stile manierista cinquecentesco e quello che della cappella rinascimentale, l’ interno dall’ unica navata con pianta a croce e una cappella laterale dal magnifico soffitto a cassettoni mudéjar, cinque pale d’altare e uno splendido pulpito barocco, due portali rinascimentali danno accesso al battistero e alla cappella di Loreto. La Casa de la Libertad, costruita nel 1621 come parte del Convento dei Gesuiti, è considerata tra i più celebrati monumenti storici boliviani dove si svolsero molti eventi che portarono all’indipendenza del paese .Il Templo de Nuestra Señora della Merced fu edificato a metà del XVI secolo dall’Ordine della Misericordia, la navata centrale è coperta da volte a cassettoni; una delle laterali con due volte a mezzaluna e l’altra con un soffitto a cassettoni mudéjar e due rinascimentali intagliati. L’altare maggiore in legno finemente scolpito, splendide pale d’altare intagliate e dorate all’ interno, il pulpito barocco e la pala dell’altare dell’artista indigeno Luis Niño, le pareti con dipinti di Melchor Pérez de Holguí. Il Monasterio di Santa Clara finanziato da Doña María de Ceballos fu fondato nel 1636 per accogliere lesuore francescane consacrate a Santa Chiara con le celle monastiche su due piani attorno al patio dagli archi con colonne in arenaria decorate. Nella chiesa a navata unica tra gli altri arredi il magnifico organo del XVIII secolo, mentre le due sale del museo custodiscono dipinti di Bernardo Bitti, sculture, preziosi mobili, gioielli, lastre d’oro, preziosi oggetti liturgici e strumenti musicali barocchi. Il neoclassico convento con il Templo di San Felipe Neri fu edificato alla fine del XVIII secolo in pietra dal vicino colle di Churuquella dall’aspetto imponente con un’unica navata divisa in quattro sezioni e ospita dipinti di artisti neoclassici del XVIII e XIX secolo, nella cripta i sepolcri di protagonisti del periodo coloniale e repubblicano. Il Monasterio Santa Ana de Monte Sion noto come La Recoleta fondato dai francescani all’ inizio del XVII secolo con il suo museo, dalla Plaza de la Recoleta ai piedi dei due colli Sica Sica e Churuquella ove fu fondato il primo centro della città si sale sull’ omonimo Mirador da dove la vista spazia sul’antico centro Poco fuori della città sulla via per Potosì, il ricco proprietario minerario Don Francisco Argandoña Revilla, che ottenne un titolo nobiliare nel 1897 da papa Leone XIII, fece edificare il suo castello di La Glorieta dall’ eclettica fattura fondendo vari stili dal moresco al gotico. Continuando a sud est sul colle che gli indigeni chiamano Cal Urqu la storia del territorio del Chuquisaca corre a ritroso nei millenni si trova il Parque Cretacico di Orcko ove sono state rinvenute oltre cinquemila tracce ed impronte di quasi trecento diverse specie di dinosauri come uno dei più vati siti paleontologici del genere al mondo.
Potosì
Scendendo dalla regione di Oruro lungo la cordigliera andina occidentale dove si innalzano le cime innevate dei massicci vulcanici come il Parinacota che si inseguono dominando gli altipiani verso la limitrofa regione cilena settentrionale di Arica tra suggestivi scenari fino al più meridionale e maestoso vulcano Lickanckabu o Monte del popolo, come gli indigeni chiamano il Licancabur. Tra gli ambienti andini più grandiosi, ma gelido ed ostile ove sugli altipiani da sempre sopravvivono le comunità indigene negli isolati villaggi nella regione di Potosì, un territorio aspro e selvaggio dal suolo scrigno di immense ricchezze minerarie. Passando per i villaggi indigeni di Cliza, Anzaldo, Toco oltre il fiume Caine, con al centro l’ omonima cittadina si stende il parco andino di Torotoro con il profondo canyon, nei pressi le orme del dinosauro, le caverne con le pitture rupestri indigene, le grotte di Humajalanta e le lagune e le cascate El Vergel. Lungo la cordigliera corre la via dell’argento per la città di Potosì dal prosperoso passato fondata nel 1545 ai piedi del Sumaq Urqu come gli indigeni chiamano la montagna ribattezzata dagli spagnoli Cerro Rico dopo la scoperta dei grandi giacimenti di argento che, dalla colonia per i secoli successivi, arricchirono il territorio con le miniere di Potosì e l’ altra enorme a cielo aperto di argento, piombo e zinco della vicina San Cristóbal. Fin dal XVI secolo la città con il suo territorio divenne uno dei più grandi centri minerari al mondo, estraendo l’ argento con mulini idraulici alimentati da acquedotti e laghi artificiali, ma l’ argento di Potosì è stata la ricchezza di pochi e maledizione degli altri,nel periodo coloniale era il disumano impiego della popolazione indigena nel mita, come era chiamato il massacrante sistema di lavoro entrando nella bocca dell’ inferno che s’ apriva nella Mina del Diablo. Con i giacimenti minerari e la grande estrazione di argento la città divenne ben presto tra le più ricche della Bolivia coloniale e ne fu protagonista e fin dalla sua fondazione dalla metà del XVI secolo vennero edificati quartieri, palazzi ed edifici religiosi dalla sontuosità barocca che rimangono nel suo vecchio centro come ancora li si ammirano. Il vicerè Francisco de Toledo per regolare i commerci dell’ argento e le altre ricchezze della regione con la colonia nel 1572 fece edificare sontuoso il palazzo della zecca che fu chiamato la Casa de la Moneda, poi ricostruita nel XVIII secolo come altri del centro assieme ad altri lussuosi palazzi di nobili e mercanti che contrastavano con i poveri edifici delle rancherie popolari. Tra le chiese la cinquecentesca consacrata a San Lorenzo chiamata dei Carangas come luogo di preghiera degli omonimi indigeni convertiti, il convento e la chiesa di Santa Teresa con il suo museo, la Catedral consacrata a Nuestra Señora de La Paz, altre chiese e monasteri che affacciano sulle vie e piazze che diramano da centro storico come quelle consacrate a Santa Bárbara , Santa Monica, San Bernardo, San Sebastián , San Benito , San Juan Bautista, San Cristóbal , San Martín , San Pedro ed altre, la chiesa dall’ imponente torre della Compañía de Jesús , il monastero di Nuestra Señora de los Remedios e il Convento di San Agustín. Molti dei palazzi e chiese di Potosì furono edificati nello stile noto come Barocco andino che attinge da tradizioni indigene nella decorazione della pittura boliviana e la composizione architettonica a rappresentare la vita comunitaria e religiosa dell’ epoca diffusa anche in Peru e nella regione andina centrale. Ne rimangono anche le più antiche e vaste Minas Reales d’ epoca coloniale, fondamento delle altre miniere di Potosí, che hanno scavato per secoli il circostante altipiano, con dighe e gli acquedotti che fornivano le acque ai mulini per l’ estrazione, i centri di macinazione e le fornaci, come tra i più vasti sistemi minerari al mondo fino alla loro decadenza nel XIX secolo, in quel che rimase di quella era dell’ argento è continuato lo sfruttamento nelle minas dalle indicibili fatiche dei lavoratori funestate da incidenti.
Salares e lagune
Un tempo il vasto lago Poopò che sta inesorabilmente scomparendo era collegato al desertico e candido Salar Coipasa verso il territorio cileno e all’ altro deserto salato vicino che si stende a sud sull’ altipiano di Uyuni salendo fino a cinquemila metri come il più vasto al mondo dove il sale è l’ antica risorsa di queste comunita, solo nello sperduto centro di Colchani ne vengono estratte migliaia di tonnellate. Ai margini del deserto Uyuni è come un avamposto sperduto e polveroso ai margini dell’immenso Salar lasciato da un antico lago prosciugato, nei pressi ciò che rimane della vecchia ferrovia con il cementerio de trenes da dove si stende di irreale bellezza dai tremuli miraggi all’orizzonte, macchie di colore delle rocce coperte di cactus. Al centro nel bianco abbacinante sorge come un miraggio l’ isola di Incahuasi, altre appaiono come oasi nel candido deserto che si perde sotto il cielo di cobalto, indios che estraggono il sale e a volte procedono come fantasmi in piccole carovane di lama nel suggestivo ambiente unico ed indimenticabile del Salar de Uyuni. Attraversato il salar e procedendo a lungo verso ovest si trova la comunità Tahua poco distante quella anch’ essa legata a costumi ed antiche tradizioni indigene di Coqueza Chantani , proseguendo a sud est del deserto salato l’altro villaggio indigeno di Santiago Agencha e più a sud nella provincia di Nor Liez un’ antica comunità popola i centro di Aguaquiza. Dominato dal colle Thunupa si trovano i resti dell’antico centro precolombiano nei pressi di Ayquepucara edificato dagli antenata degli indigeni che la popolano , continuando nella regione di Lipez a Lakaya gli altri resti di uno dei più importanti insediamenti boliviani precolombiani e proseguendo l’antica necropoli Nuestros señores di Lipez . Continuando nell’ estremità sud occidentale del territorio boliviano attraverso il deserto di Siloli, come un miraggio di roccia che emerge da lontano la suggestiva formazione dell’ Arbol de piedra che pare un albero scolpito nei secoli dai venti, da dove si stende il parco con la riserva della fauna andina di Eduardo Abaroa. Per un’ altra antica via andina si torna nella provincia Nor Lípez chimata Terra Nativa dagli indigeni con varie centri e villaggi, la cittadina di Villa Martín nota come Colcha K è centro di comunità indigene della regione, poco distante verso il confine cileno di Avaroa si trova di Santiago Chuvica , un’ altra antica carovaniera per i lama porta all’ altra cittadina indigena di San Pedro meglio nota come San Pedro de Quemes e procedendo sempre lungo la frontiera cilena si trova quella di San Juan Rosario. Nel suggestivo paesaggio andino si alzano i vapori delle sorgente calde di Polques con la loro piscina naturale sotto un colle che prende nome dal vicino salar di Chalviri e dalla Cordillera occidentale si innalza per quasi seimila metri la maestosità del vulcano Llincancahur che appare anche in questo territorio dove si trovano le suggestive formazioni rocciose Dali della Pampa Jara, da qui continua la maestosità del magnifico altipiano dove si inseguono le splendide Lagunas de colores in scenari unici al mondo. Dominata dal maestoso massiccio del vulcano Uturuncu che gli indigeni chiamano giaguaro o Uturunku appare la Laguna Azul che risplende di chiaro celeste popolata da grandi colonie andine di fenicotteri che l’ animano di vita, così come nell’incanto si questo territorio nell’altro lago salato che si apre con le candide acque della Laguna Blanca. Proseguendo nel suggestivo contrasto con i cromatismi dell’ arido altipiano si troval’altrettanto splendida Laguna Verde dai magnifici riflessi cobalto, continuando sempre ad oltre quattromila metri la Laguna Colorada dal bianco abbacinante dei sedimenti che contrastano con il vermiglio delle acque e chiamata anche Lago Rojo dove, oltre ai diffusi fenicotteri andini si trovano quelli della specie Jamesi che con il loro eleganza accompagnano lo sguardo sul fascino indimenticabile di quei colori.
Tarija e il Chaco
Scendendo a sud est verso il Gran Chaco settentrionale, che si stende con le immense pianure in Argentina e il limitrofo territorio paraguayano, si trova la più meridionale regione boliviana di Tarija, la vasta regione del Chaco è stata contesa fin dall’ inizio del XIX secolo con il Paraguay che, dopo l’ indipendenza dalla colonia spagnola , la occupò sottomettendo e scacciando le popolazioni indigene in gran parte Guaranì del Chaco boliviano come i Simba e gli Ava Garanì nel territorio settentrionale, i vicini Kaiowà, di simile stirpe i Guarani Ñandeva chiamati localmente anche Chiripá che condividono la regione centro settentrionale del Chaco con gli Ayoreo o Ayoréode, le comunità Ebitoso e Tomarah del popolo Chamacoco e nel territorio argentino settentrionale i Qom’lek noti come Toba. Pensando che vi fossero giacimenti petroliferi, nel 1932 la regione fu nuovamente contesa nella Guerra del Chaco durata tre anni che riportò il controllo paraguayano in gran parte del territorio conteso ove non v’ era traccia di petrolio, in compenso in quello rimasto nei domini boliviani vennero scoperti vasti giacimenti di gas naturale ed alcuni petroliferi. La città di Tarija fu fondata nel 1574 come Villa San Bernardo de Tarixa dal capitano spagnolo Fuentes Vargas, all’ epoca avamposto contro le incursioni degli indigeni Churiguanos del Chaco, prosperata dal periodo coloniale a dopo l’ indipendenza con l’ agricoltura indigena, le piantagioni e gli allevamenti, poi dalla scoperta dei giacimenti petroliferi e gas naturali. L’antico centro di Tarija dirama dalla alla Piazza intitolata al fondatore Luìs Fuentes y Vargas, tra gli edifici più antichi il convento Franciscano dagli interni barocchi decorati da dipinti coloniali, nel quartiere di La Loma de San Juan tra le vie Bolivar e Domingo Paz, l’ iglesia di San Juan edificata nel 1578 dai domenicani durante la fondazione della città. Al 1680 risale la barocca Catedral gesuita consacrata a San Bernardo, nella chiesa di San Roque si celebrano le cerimonie e la festa dedicata al santo animata da mercati indigeni nei costumi tradizionali. Proseguendo il novecentesco e ridondante edificio della Casa dorada e poco distante da Plaza Fuentes la ricca collezione di fossili rinvenuti nella regione è custodita nel museo paleontologico. Lasciata Tarija Poco nella cittadina di San Lorenzo si trova la Casa del Moto con il suo museo di Mendez dove visse il celebrato ero dell’ indipendenza boliviana Eustaquio Méndez Arenas, nell’ omonimo centro l’ Observatorio astronomico di Santa Ana e ad ovest della cittadina di Padcaya nei pressi del rio Camacho chiesa di Chaguaya frequentata dalle comunità indigene e l’ ultimo lembo meridionale boliviano termina nella cittadina di Bermejo. Il Chaco per le popolazioni indigene di lingua quechua era chaku, la vasta terra di caccia ricca di fauna con una gran varietà di specie tra i suoi ambienti dalle praterie che scendono per le pianure attraversate da fiumi fino alle foreste tropicali. Dalla vegetazione di arbusti e cactus dei rilievi alle savane delle pianure alluvionali fino ai palmeti e le foreste il Gran Chaco si stende con la sua varietà di paesaggi con ben oltre tremila specie di piante diverse, cinquecento specie di uccelli, oltre duecento di rettili e anfibi e centocinquanta di mammiferi. A difesa dell’ ambiente dall’ avanzata di coloni e lo sfruttamento delle risorse nella regione boliviana sono sorte riserve, nel territorio meridionale del Santa Cruz i vasto Parque Nacional e Area Natural de Manejo Integrado di Kaa-Iya, in quello del dipartimento di Chuquisaca il Parque Nacional y Area Natural de Manejo di Iñao. Nel dipartimento di Tarija tra i rilievi dell’ omonima serrania di Aguaragüe si trova il Parque Nacional y Area Natural de Aguaragüe con una ricca varietà di flora e fauna subandina, la Reserva biologica de la Cordillera di Sama tra i bassopiani della puna andina e la pianura del Chaco popolati da una gran varietà di uccelli, fenicotteri andini e condor, mammiferi come Vicuña e lama Guanachi , cervi andini Taruca,, roditori Vizcacha, gatti andini Titi e puma. Proseguendo il suggestivo ambiente della Reserva Nacional de Flora y Fauna di Tariquía tra i rilievi montuosi e le foreste ricche di flora e fauna della regione ove si trovano i resti delle Reducciones , come erano note le missioni gesuite sorte dalla fine del XVII secolo nella regione. Delle varie popolazioni indigene in gran parte di stirpe Ava Guaranì , solo alcune comunità sono rimaste nel Chaco boliviano, le altre distribuite in gran parte nei territori limitrofi, come i Wichì o weenhayek chiamati dai boliviani noctenes, da qui oltre i confini argentini i Qom’lek o Toba.Diversi da tutte le popolazioni indigene per la pelle ed occhi chiari gli Achè chiamati dai vicini con il dispregiativo di Guayaki o topi della foresta, si opposero fieramente alla colonizzazione fino ad esserne travolti rifugiandosi nelle foreste orientali paraguayane, così come gli Ayoreo che,dalla seconda metà del XIX secolo furono in gran parte sterminati nella sanguinaria caccia agli indios. Di stirpe Guarani Ñandeva i Chiripá in gran parte diffusi nei territori paraguayano e brasiliano come i vicini Kaiowà e le comunità che tradizionalmente si definiscono Ishiro o persone dei Chamacoco un tempo seminomadi, nel territorio meridionale del Pantanal brasiliano i Kadiweu o Caduveo discendenti dall’ antico popolo Mbaya.
Verso le pianure del Gran Chaco vanno come sfumando i ricordi dei vasti altipiani dominati dalla maestosità delle montagne nei più suggestivi percorsi tra le Ande, le yungas che scendono vorticosamente ove si apre lussureggiante l’ Amazzonia nelle immense foreste solcate dai fiumi, attraverso la storia boliviana tra i resti di antiche culture, le città coloniali e le tradizioni delle popolazioni indigene, al termine degli affascinati itinerari alla scoperta di questa indimenticabile Bolivia.
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