Francigena toscana
Le vie che scendevano nelle terre italiche da settentrione dopo lo sgretolamento dell’ Impero Romano passavano per i domini bizantini che dall’ Esarcato di Ravenna controllavano i passaggi tra gli Appennini ad est e le vie romane tra Florentia e Faenza nonché la adriatiche Via Flaminia e la Popilia che già la si chiamava Via Romea. Così che dal secolo settimo nei domini longobardi a collegare la capitale Pavia coi suoi ducati se ne fecero altre sulle antiche vie romane tra la pianura padana e Lucchesia attraverso la Lunigiana presa ai bizantini, proseguendo poi sulla via Aemilia Scauri lungo il Tirreno e cosi’ testimonia anche Il monaco longobardo di Cividale Paulus Diaconus nella sua Historia che già in quel secolo ottavo la via Mons Langabardorum chiamavasi Via di Monte Bardone. Ai viaggiatori e commerci longobardi ben presto s’ aggiunsero pellegrini d’ ogni parte d’Europa verso Roma e più giù sulle vie di merdidione per la Terrasanta. Quando poi il fu Regnum Langabardorum preso da Carlo Magno e divenne dei Franchi, in quel secolo nono la si cominciò a nominarla Via Francigena. Il monaco britannico dell’abbazia di Glastonbury e poi abate dei quella di Sant’Agostino , dotto consigliere di fatti ecclesiali del sovrano Etelredo a cui ispirò l’ edificazione di un’ abbazia nel Berkshire a Cholsey consacrata a re Edoardo il Martire, divenendo vescovo di Ramsbury ed infine arcivescovo di Canterbury. S’era verso il 990 quando viaggiò per Roma a prendere il Pallio arcivescovile dal papa Giovanni XV , così che al ritorno s’ annotò le ottanta tappe di quel lungo cammino scrivendo accurato diario di viaggio su cosa andava incontrando il pellegrino sulla Via Francigena che per tutti fu l’ Itinerario di Sigerico. quattro anni dopo rese l’ anima e riposa in Christ Church accanto alla sua cattedrale di Canterbury. Nel 1151 l’ abate del monastero di Thingor, partì dall’Islanda per la Danimarca e quindi attraverso le terre germaniche alfine di valicare le Alpi e scendere sui territori italici sulla via de’ pellegrini a Roma, di dove proseguì all’estremità della penisola a prendere il mare per la Terrasanta. Nei tre anni di viaggio annotò tutto ciò che andava trovando sulla via per Roma e poi Gerusalemme e ne scrisse resoconto nell’ antica lingua scandinava, prezioso documento su quel tratto d’Europa nel secolo dodicesimo.. vir sapiens et celeber, memor et multisciens, prudens et verax. Anche Filippo II di Francia seguì la via dalle Alpi attraverso l’ Italia per la Terransanta, non già a pellegrinare in Gerusalemme, ma a levarla ai turchi del Saladino nella Terza Crociata, come vescovi, abati e altri viaggiatori di minor rango,anch’ egli ha lasciato le sue note su luoghi e genti dei territori attraversati.
Lunigiana
La Via Francigena dalla pianura padana saliva l’ Appennino per entrare in quei territori che poi divennero Toscana ,come racconta Sigerico vescovo di Canterbury che di quella lunga via annotò con dovizia il tragitto e le ottanta tappe dei milleseicento chilometri in settantanove giorni da Canterbury a Roma nell’ anno di grazia 994. Qui incrociava quella Via degli Abati per Roma che partiva dall’ Abbazia di San Colombano nella padana Bobbio seguita dai monaci e pellegrini fin dalla sua fondazione nel secolo settimo, anch’essa sui tracciati longobardi. La prima sosta era in Berceto , ove i pellegrini erano accolti nel convento de’ Padri Cappuccini e poi a pregare in Duomo entrando dal portale laterale tra i santi Pietro e Paolo aggiunti nel 1198 e di quello stesso dodicesimo secolo è la scultura che rappresenta la fatica dei pellegrini affinchè essi ne traessero spirito per proseguire nelle avversità del cammino. Di là si faceva aspro per il Passo della Cisa ch’era controllato da una fortezza dei Bizantini fino al secolo settimo e poi il re Rotari la prese e il valico del monte Bordone si aprì ai transiti tra i territori longobardi tra il settentrione e il centro italico.
Oltre il passo la via iniziava a scendere per Montelungo Langobardorum ove i pellegrini erano accolti nel monastero dei Benedettini fondato dall’ abbazia di Bobbio di cui rimane solo il ricordo come “monasterium Benedicti a Longobardis destructum est” nelle Cronache Anglosassoni Hoc Tempore ed altre narrazioni di quei luoghi, mentre Sigerico l’ annota come la Benedicte XXXII, sosta trentadue del suo cammino. Molto dopo nel 1154 il venerabile abate islandese Nikulas di Munkathvera racconta la traversata del Mumbard com’ egli chiamava il Bordone e poi Filippo Augusto tornando dalla terza crociata per la sua Francia nel 1191 fece scrivere al suo cronista “Punt-Tremble et per Munt-Bardum… ibi deficit Tuscana et incipit Italia”, che di tutti quelli che ne hanno lasciato testimonianza poi sembrava essere comune opinione.
Dalla Cisa la via proseguiva a Puntremel XXXI di Sigerico, la Pontremoli, di Lunigiana sorta ove era un Pons Tremulus di traballante legno romano ad attraversarne il fiume, poi minuscolo borgo longobardo finchè nel 1247 lo svevo Enzo Hohenstaufen re di Torres figlio di Federico II, ne volle cittadella fortificata a dominare tra i fiumi Magra e Verde quella via ch’era divenuta la più importante nei transiti dal nord al centro italico. A Pontremoli s’ accedeva attraverso il rio Verde sul ponte Cresa nella parte alta e in basso dal Busticca o Stemma che superava il Magra, Il borgo si apre a Porta Parma ove sorse nel secolo decimo la romanica chiesa di San Giorgio, nei pressi v’era un’ ospitale che accoglieva pellegrini e curava infermi e lì si innalzò la chiesa di San Giacomo di Altopascio agli inizi del 1500. Da Porta a Parma s’ attraversano due piazze divise dalla Torre del Campanone ove nel 1322 Castruccio Castracani separò la città ad impedire lo scorrere di altro sangue tra Guelfi e Ghibellini. Nella chiesa di San Pietro un bassorilievo raffigura quel ‘labirinto’ che sule vie dei pellegrinaggi simboleggiava la fatica del cammino e l’ impegno nella ricerca che spirituale, mentre sulla campana della chiesa di San Francesco un’ iscrizione ricorda che quando suona ne fuggono demoni e spiriti maligni, simile ad altre tra le chiese di Lunigiana come a San Cristoforo “MCCCIII , ne mentes ledant, fantasmata cuncta recedano”, che quello era parte dello spirito medioevale immerso in fervori religiosi e paure di misteri. Tutto dominato dalla rocca del Piagnaro di dove la vista spazia magnifica sulla valle e che conserva steli con figure armate di quell’ antico popolo italico di Lunigiana che aveva il suo centro a Luni. Nei pressi dell’ entrata sta la chiesa di Sant’Ilario la più recente sorta tra le altre su un’ antico ospizio di pellegrini che vi si accedeva da un sentiero per Borgo Taro ch’era un’ altro cammino di pellegrini su quella via, le rovine ricordano il convento di San Francesco che si dice sorto nel 1219 ove aveva sostato il Poverello d’ Assisi.
Proseguendo nella valle lungo la sinistra del Magra la via conduce alla vicina Filattiera e la Pieve di Sorano sorta su un’antico tempio pagano nell’ epoca bizantina della Lunigiana prima della presa longobarda e consacrata a Santo Stefano, la si trova citata come Plebs de Sorano in una bolla del 1148 che ne confermava la giurisdizione al vescovato di Luni. La chiesa di S. Maria in Filattiera venne a sostituire la Pieve ormai decaduta e ne raccolse gli antichi arredi e la statua di San Giacomo nel suo interno barocco ove troneggia il battistero del 1605. Nella chiesa di San Giorgio l’ iscrizione su una lapide narra d’ un missionario Leodgar defunto nel 752, che sottrasse al paganesimo la popolazione della zona nella conversione al cristianesimo e che qui fondò un ospizio per pellegrini, mentre altra accoglienza stava in un edificio nel borgo segnato da un bassorilievo di San Giacomo. L’ evangelizzazione sovrapposta agli antichi riti è testimoniata nella festa di San Antonio quando da un gran fuoco in piazza la gente attende i tizzoni da portar via a protezione di infermità e i malanni. Anche il vicino borgo fortificato di Filetto sorse in epoca bizantina e conteso con i Longobardi che calarono in Lunigiana nel sesto secolo, lo ricorda la quadrangolare piazza centrale che reca una fontana dalla quale diramano strette vie e vicoli ove affacciano gli edifici sorti nei secoli successivi e nel 1500 la cinta muraria venne ampliata accedendo dalle due porte monumentali, i Marchesi Ariberti di Cremona che n’erano signori a quell’epoca innalzarono il monastero dei frati ospitaleri di San Giovanni di Dio e il loro palazzo configurando l’ aspetto dell’ antico centro.
La via continuava a Villafranca Lunigiana attraversandone la piazza del mercato e tutto era dominato dal castrum cum curia divenuto il castello Malgrate nel XII secolo, lo si chiamò Malnido che la sua presenza esigeva pedaggi a tutti coloro che transitavano per l’ antico ponte romano sul Bagnone che qui incrocia il Magra, viandanti, mercanti e pellegrini che fossero. Nei pressi del ponte si trova la trecentesca chiesa di San Giovanni Battista, ma più che ad essa pellegrini sostavano alla Pieve di San Cassiano nel territorio disseminato di antichi centri, rocche e manieri come quello di Malgrate dalla spledida torre medioevale. Si sostava alla Chiesa San Francesco dalle terracotte di allievi del Della Robbia, quella di San Nicolò e il vicino ospitale di S. Antonio Abate dall’elegante campanile.
Molti pellegrini prendevano invece la via per la Chiesaccia ove fin dal IX secolo sorgeva un hospitale che li accoglieva accanto alla chiesa di Santa Maria di Arbaritulo, come racconta l’ abate Nikulas. Di lì per Fornoli stava la chiesa e l’ hospitale di Santa Maria Groppofosco ove si sostava prima di passare sulla destra del fiume .Oltre l’ antico ponte romano si trova uno dei vari castelli dei signori Malaspina che domina il Magra a Lusuolo , possente difesa medievale subì la rovina nel secolo XVI e ricostruito nel 1600, un portone accede nel cortile di pianta a trapezio con il suo pozzo al centro e qui s’è pensato dedicare memoria ai migranti toscani peril mondo. Nei pressi il borgo accoglieva il transito di pellegrini e viandanti che proseguivano il cammino tra i monti verso Aulla.E’ Aguilla XXX, trentesima sosta di Sigerico, s’ annuncia da lontano con la rocca Brunella del 1500, ma ben prima v’ erano altri presidi nella contesa tra i Malaspina e il vescovato di Luni, nel IX secolo il marchese Adalberto figlio del conte di Lucca fece edificare l’ Abbazia di San Caprasio, poi ricostruita duecento anni dopo per continuare ad accogliere i pellegrini.
A scendere si trova il borgo di Bibula ove per secoli dominava una poderosa fortezza e il suo castello la via per Santo Stefano di Magra, la Sce Stephane XXIX di Sigerico. V’erano antichi insediamenti passati per la storia di Lunigiana e le cronache ricordano S.Stefano Magra come possedimento di Luni, Genova e infine Milano, assunse il rango di mercato con Ottone II nel 981, poi ratificatio da Federico I nel 1185 come burgum cum mercatu, banno iustitia distictu piscationibus e nel XV secolo era una possente cittadella fortificata sul Magra, testimoniato dalle mura medioevali e anche qui un’ altro castello dei Malaspina.
La sosta pellegrina era alla pieve e poi la chiesa di Santo Stefano sorta su di essa, vi convergevano dai cammini che giungevano dai monti e dalla valle e possedeva Porto Maurizioa Bocca di Magra collegato a Spagna e Galizia, la via per mare tra il Camino de Santiago e la Via Francigena. All’ inizio del secolo tredicesimo le terre di Luni erano divenute malsane e il vescovato si trasferì nel borgo di Sarzana con le reliquie venerate dai pellegrini, poste nella Pieve di Sant’ Andrea e poi si innalzò il duomo per accoglierle a maggior gloria. Si accede dal portale sulla marmorea facciata romanica che in quel secolo andava ad impreziosirsi di gotico e a lato il campanile sorto nel 1432, assieme alle reliquie stanno le opere che ne onoravano il culto, come il Crocifisso del Maestro Guglielmo e La gloria del Preziosissimo Sangue di Domenico Fiasella, dietro si conserva l’ ampolla ove s’è creduto fossero tracce di sangue del Redentore.
Per più d’ un secolo Sarzana e le sue terre con loro suoi furono ricco dominio dei vescovi di Luni e poi contese tra le potenti signorie di Lucca, Pisa, Firenze e Milano, finchè nel 1572 entrò nei possedimenti della Repubblica di Genova. La contesa secolare ha lasciate testimonianze con la fortezza arzanello voluta da Castruccio Castracani nel 1322 fuori della città, poi altra difesa fu innalzata nel 1487 da Lorenzo il Magnifico nella presa fiorentina di Sarzana cinta dalle mura genovesi che s’ aprono da Porta Nuova. Vi si incrociavano le vie Francigena dal nord attraverso l’ Appennino e la via Tolesana lungo la costa che veniva di Francia collegata allo spagnolo Camino de Santiago ove si venerava l’ apostolo Giacomo che nei secoli dei furiosi scontri con l’ Islam divenne Santiago Matamoros.
Tutti i pellegrini che arrivavano d’ altri paesi qui li si chiamava Scotti, che quella Scotia dell’ estremo nord di Britannia sembrava la terra a settentrione più lontana, così lo furono quei venerabili divenuti San Pellegrino, San Bianco e San Terenzo Scotto a cui s’e dedicato il vicino porto sulla costa di Liguria. Quelle terre erano popolate da gente di misteriosi costumi e riti che avevano centro in un luogo dal perimetro come falce di luna e così i romani vi edificarono una città nel 177 avanti Cristo che chiamarono Luni ove passavano le vie dal nord attraverso gli Appennini, dalla Gallia ad occidente e la strada Aurelia per Roma, era lambita dal mare ove s’ affacciava il suo porto e per secoli i naviganti che incrociavano le rotte di quel mare ne avvistavano le mura bianche e possenti finchè l’ impero si sgretolò cedendo ai barbari e poi nel 642 il Longobardi la rasero al suolo.
Sulla riva destra del Magra in Ortonovo ne rimangono i resti di case, templi, mercati e d’ una esistenza votata a traffici e commerci, che diramano dal decumano massimo ove passava la via Aurelia, al centro il Foro circondato dai palazzi del potere e i templi, se ne intravedono i ricordi nel Capitolium e nell’ Anfiteatro Antonino sorti nel secondo secolo. Di seicento anni più tardi sono le memorie medioevali di Luni con la cripta di San Marco dell’ ottavo secolo, ove poi sorse la cattedrale con il campanile nel nono in territorio bizantino e sede vescovile che si trasferì a Sarzana nel 1058 per il flagello della malaria, mentre il porto ormai interrato passò a Porto Venere. E’ Luna XXVIII, la ventottesima sosta di Sigerico che racconta aver visitata quella basilica paleocristiana del secolo quinto poi distrutta, l’ abate Nikulas calcolava un giorno di cammino per Lucca e testimonia che qui si la via de’ pellegrini dal nord per Roma andava collegandosi con quella per Santiago Compostela lungo la costa e attraverso la Francia, mentre Filippo Augusto dalla Garfagnana percorse l’ itinerario Lune maledictam civitatem episcopalem et per Sanctam Mariam de Sardina.
Da quella via pietrosa atta al transito di carri che da Luni scendeva a sud si dice prese nome d’ un centro che lo si trova citato nell ’ atto di donazione imperiale dell’ anno di grazia 963 ove la cittadina di Carrara fu assegnata da Ottone I al vecovato di Luni. Ai piedi delle Alpi Apuane dalle ricche cave del marmo più puro al mondo, di qui traffici e commerci prendevano tutte le vie che vi passavano e così fiorente Carrara divenne libero Comune nel 1261, poi conteso dalle signorie di Toscana. Di tutto simboleggia il duomo, che impiegarono duecento anni ad innalzarlo dall’ anno mille, così che vi si trovano le austere geometrie e decorazioni romaniche assieme alla ricchezza gotica nello stile pisano, la facciata a strisce grige e bianche, l’ eleganza del rosone dalla cornice gotica quadrangolare e di tutto dentro e fuori il marmo domina, cos’ come le tante statue all’ interno. Di qui la via Francigena passa per il borgo medioevale di Avenza con la sua fortezza e prosegue nella vicina Massa , ancora nel secolo nono piccolo centro agricolo sul torrente Frigido ubi dicitur Massa prope Frigido, ove si legava alla romana via Aurelia lungo la costa della Toscana da Roma, molto prima è segnata sulle vie dell’ epoca nella cartografia romana della Tabula detta Peutingeriana.
Era territorio del vescovato di Luni fino all’ XI secolo quando passò al marchesato degli Ottolenghi che vi innalzarono la rocca fortificata con il castello Malaspina che domina la città allungata sulla pianura sotto le pendici apuane. A lato della Piazza Aranci affaccia l’ imponente Palazzo ducale Cybo Malaspina del XVI secolo, parte del quale edificato Carlo I con Cappella Ducale affrescata di Carlo Pellegrini e il sontuoso Salone degli Svizzeri, più oltre nel centro cittadino si trova la cattedrale di S.Pietro e S.Francesco che nel ‘400 Jacopo Malaspina fece edificare su una più antica chiesa, tra le tante decorazioni ed opere che lo impreziosiscono all’ interno, un’ antico Crocifisso che si dice proveniente dal porto di Luni ove rinvenuto e posto su un carro che venne miracolosamente senza guida al duomo, leggenda simile a quella che si trova nella cattedrale di Lucca.
Fuori di Massa si trovano poi le pievi di San Gimignano ad Antona e San Vitale a Mirteto frequentate da devoti e pellegrini per tutto il medioevo, in San Leonardo Frigido v’ era un’antica mansio romana che ospitava i viaggiatori sulla Via Aemilia Scauri per Luni oltre il fiume Frigido, su essa sorse nel medioevo un hospitale per viandanti e pellegrini di cui rimangono gli austeri resti romanici.
Qui il culto di San Leonardo è giunto con i pellegrini provenienti dal nord ove era diffuso, onorando il santo nato in Gallia alla fine del V secolo sotto l’ impero d’ oriente di Attanasio, seguace di San Remigio e dedito alla carità le sue opere e miracoli lo resero celebre tra Aquitania, Germania e Britannia, beatificato come Saint Leonard de Noblat, luogo ove la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e il cui culto venne portato sulla Via Francigena. In Massa i pellegrinaggi sono proseguiti a lungo, negli altri santuari edificati più tardi come la Madonna degli Uliveti che conserva una statua lignea di Jacopo della Quercia,nel XVII secolo sorse il Santuario di Nostra Signora della Misericordia progettato da Raffaele Locci con l’ altare del bergamini e dipinti di Fiasella e Cigoli, infine nel 1835 venne edificato il Santuario della Beata Vergine dei Quercioli.
Da Massa scendendo per la costa di Versilia si trova il castello Aghinolfi che domina il borgo di Montignoso, citato da cronache del secolo ottavo e dominio degli Aghinolfo fino alla conquista della vicina repubblica di Lucca nel 1376 e ne fu presidio militare per oltre un secolo, poi passato a dominio del Regno di Francia con Carlo VIII nel 1494. Di qui la Via Francigena e le altre che collegavano il nord Europa a Roma passava per i borghi Casone Strettoia e Pescarella, i colli di Metati Rossi e lasciava la Lunigiana per traversare altre contrade di Toscana.
Lucchesia
Dalle Apuane e le terre di Lunigiana scende la pianura verso la costa a trovare il fiume Versilia che nomina il territorio ove giungevano antiche vie da occidente e settentrione sulle quali i romani tracciarono grandi strade fin da terzo secolo a.C. di qui al forum Aurelii a Montalto di Castro, poi al Portus Pisanus e infine verso gli antichi territori d’ Etruria a Fiesole, collegando per secoli il nord italico e la Gallia attraverso la Versilia con Roma sulle vie Aurelia e Cassia. Agli albori del medioevo i vescovi di Lucca s’ adoperarono ad evangelizzare la gente di queste terre centri e luoghi di culto cristiani lungo l’antica via romana, così sorsero le pievi di Santo Stefano Camaiore, San Lorenzo di Massaciuccoli, Santo Stefano di Vallecchia, Santa Felicita di Valdicastello e Sant’Ambrogio di Elici, poi divenute soste spirituali sulla Via Francigena.
Con l’ arrivo dei Longobardi nel 570 alla venerazione di quei martiri romani s’ aggiunse quella dei combattenti in armi per la fede come San Giorgio e San Michele ai quali si consacrarono varie chiese sulle vie del loro dominio italico. Queste terre fiorirono con l’ estrazione dei minerali e il gran traffico di mercanti, pellegrini e viandanti da settentrione e occidente verso Roma, che poi fu via di armati per tutti i secoli di Crociate. L’ abate Nikulas nel suo pellegrinaggio menziona una sosta a Kjoformunt, ch’era l’ antico borgo di Sala che poi divenne Pietrasanta, ove si fermavano pellegrini anonimi e di rango, da quello francesi chiamato Munt-Cheverol, e poi il centro fiorì nel 1255 ad opera del podestà di Lucca Guiscardo che la volle progettata come città recante i simboli del cristianesimo. I pellegrini venivano accolti da un hospitalis sotto la rocca di Sala che domina la simmetria simbolica dei dodici quartieri diramanti dalla grande croce formata dalla via e la piazza principali, con quattro altre croci formate dalle strade a lato. La colegiata S.Martino che della città è il duomo dall’ elegante facciata marmorea che contrasta con il rosso del campanile s’ alza dal secolo XIV d’ una parte della piazza del duomo, dietro il Battistero con l’ oratorio di San Giacinto s’ aggiunse nel ‘600, dall’ altra parte Castruccio Castracani fece costruire Rocchetta Arrighina nel 1324 per suo figlio Arrigo accanto alla Porta a Pisa che accedeva dalle mura. Di qui si procede per il palazzo Moroni, Sant’Agostino che risplende dorata la facciata, la Torre delle Ore e San Antonio Abate chiesa della Confraternita Misericordia. Tra queste vie Michelangelo girava a cercare e contrattare i suoi marmi che per secoli fecero fiorire Pietrasanta così che mercanti, artigiani ed artisti assieme ai pellegrini ne riempivano le strade. Poco fuori la Via Francigena continua a Valdicastello ove nacque Giosuè Carducci e qui i pellegrini sostavano alla Pieve Valdicastello dei santi Giovanni e Felicita edificata nel dodicesimo secolo su una più antica chiesa paleocristiana nominata nel nono secolo ecclesia beatae sanctae felicitae quae est plebs baptimalis sita loco versilia, molto prima era luogo di culto pagano. A Felicita e Perpetua, nel 202 martiri della persecuzione di Settimio Severo Cartagine, fu lì consacrata una basilica, ricordate in un mosaico a S.Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, il culto divenne molto popolare fin dal 420 quando Bonifacio I volle una basilica ne’ pressi delle catacombe S. Felicita, omonima protettrice della maternità e poi tra le altre medioevali venne edificata la chiesa Santa Felicita in Firenze.
Nella pieve Valdicastello il suo culto venne associato a quello per San Giovanni, per secoli meta di soste e preghiere, decorata ed arricchita di preziosi arredi finchè l’idiozia d’ un vescovo pisano nel 1835 volle demolirla. Se la si trova si deve alla raccolta di fondi del versiliese G.Battista Nuti per ricostruirla in gotico e restaurare ciò che rimaneva come le figure scolpite del leone, bue, aquila e angelo a rappresentare gli animali dell’Apocalisse, mentre nell’ Abside rimangono altre sculture originali tra le quali la figura d’ un pellegrino. Sul pavimento rinascimentale stanno le lapidi funebri di prelati e cittadini pii che vi furono sepolti fin dal ‘500 quando fu innalzato il campanile.La via proseguiva per Camaiore, menzionata nel 760 in una donazione di un nobile longobardo dal Vescovo di Lucca al al monastero S.Pietro in Campo Maiore, ove era un antico centro romano sulla via Aurelia, in seguito presidio di Lucca nei conflitti con Pisa finchè non divenne cittadina cinta da mura nel 1255. Luogo di sosta e culto era la Collegiata eretta nel 1278 nella piazza S.Bernardino da Siena, accanto all più tardo campanile del 1365, s’accede dal portale sulla facciata romanica nelle tre navate dagli altari laterali, sul terzo a sinistra un crocifisso ligneo del XIV secolo, sulla navata a destra un dipinto del Marracci che raffigura la Madonna del Carmine, sulla sinistra un’ Ultima Cena su pala del Dandini del XVII, stesso periodo delle formelle di Giovan Battista Stagi che decorano l’ altare maggiore ed un pregevole organo cinquecentesco arrichisce gli arredi della chiesa, mentre in un sarcofago romano sta la fonte battesimale. Nei pressi della ricostruita chiesa romanica San Michele del secolo XII si trova la Confraternita del Santissimo Sacramento nel cui Museo d’Arte Sacra sono opere si maestri toscani e fiamminghi dal XIV secolo al seicento e qui ne’ pressi era l’ hospitalis per i pellegrini.
Poco fuori di Camaiore la Badia di San Pietro edificata dai benedettini nell’ ottavo secolo, li accoglieva fin dall’ epoca longobarda, poi ampliata nel secolo XII con mura protettive delle quali rimane un arco sul piazzale ove sorgeva il cimitero, all’ interno tre navate verso l’ abside dai pilastri affrescati, sul primo a sinistra ne rimane la raffigurazione di S.Maria Egiziaca e una Pietà sul secondo incorporato da un altare settecentesco. E’ la Campmaior XXVII, ventottesima sosta di Sigerico che lascia attraverso la vallata di freddana salendo per il valico di Montemagno di dove scendere per la piana del Serchio e Lucca. Di lì si controllava la via e alla fine del XI secolo già il castello dominava quelle terre che furono dei nobili Paganelli, signori di Montemagno dopo i Longobardi che nel secolo XI avevano eretto fortificazioni, castella e ingrandito il borgo arroccato sul monte Calvario di dove s’ apre la vista sulla vallata di Camaiore. Accanto alla chiesa di San Michele Arcangelo dell’ anno mille, sorse un hospitalis per pellegrini nominato nel secolo dodicesimo, nei pressi v’ era la piccola chiesa di a San Bartolomeo che ne rimangono le tracce di affrescate dei santi Bartolomeo e Michele sulle rovine della facciata, proseguendo a Valpromaro si trovava nel secolo dodicesimo la chiesa e l’ hopitalis San Martino, del secolo successivo l’ altra accoglienza per pellegini Locus dominorum Piscopana di cui rimane la piccola cappella Maddalena. Già sosta in epoca romana su quella via legata all’ Aurelia, Valpromaro con i suoi borghi lo fu per tutto il medioevo come dappertutto e testimoniato, a Piazzano si trova la chiesa San Frediano del XII secolo accanto cui sorgeva l’ hospitalis Ospedaletto ad accogliere i pellegrini sulla via Francigena che di qui usciva dalle mura attraverso una porta accanto al campanile e poco oltre ad occidente era difesa da una torre quadrangolare sulla via per Lucca, sostando alla chiesa Spedale di San Michele della Contessora. Un’ iscrizione ne celebra la fondazione nel 1175 ad opera di Ugolino per accogliere i pellegrini, la grande chiesa sorgeva sul piazzale a sinistra della via e l’ Ospedaletto dall’ altra parte su due piani, secoli di viandanti e pellegrini finchè non vi giunsero i più feroci tra tutti i barbari che nella sanguinaria ritirata nazista in Italia la rasero al suolo.
Si proseguiva per la chiesa e l’ altro ricovero di San Iacopo , anch’ esso come altri sulla Via Francigena menzionato dai pellegrini francesi fin dal XII secolo Hotel de Dieu, quindi oltre il Serchio sul Ponte San Piero di dove percorrere l’ ultimo tratto per Lucca.Sull’altra via che incrocia quella dalla Grafagnana in Borgo a Mezzano, nel mille sorse il ponte della Maddalena progettato con arco arditamente alto e così si dice fosse chiesto aiuto al diavolo che in cambio volle l’ anima del primo a passarci sopra, astuzia fece che vi fu fatto transitare un cane beffando il Maligno, da allora lo si chiama ponte del diavolo.
A Lucca incrociavano le vie di Luni da settentrione e di Florentia ad est per collegarsi all’ Aurelia e le altre strade verso Roma, così che sorse simmetrica in epoca romana e tale rimase in quella medioevale, ma d’ ogni parte si arrivi a Lucca se ne trovavano le mura che dal XVI secolo divennero di elegante imponenza a racchiuderne le meraviglie che sempre hanno affascinato viaggiatori e pellegrini, vi entravano ferventi per il duomo ove venerare la croce in legno del Volto Santo, passando per il porticato scolpito da percorrere in ginocchio. Tutto ricorda la storia millenaria e dall’ anfiteatro romano è sorta la suggestione della piazza del mercato, ne diramano le vie del centro ove s’ accostano e si sovrappongono i secoli nelle case, palazzi, portici, tra la città romana e la capitale longobarda di Toscana, poi centro del marchesato Carolingio, fiorente con il commercio della seta, splendido medioevo dalla signoria trecentesca di Castruccio Castracani ai quattro secoli della Repubblica di Lucca. Secolare transito e meta di pellegrini dalle trentotto chiese con ciò che furono hospitalis e ricoveri, di quella che per Filippo Augusto era per Luchek civi tetem episcopalem e per Sigerico la Luca XXVI, venticinquestima e tra le più importanti soste del suo viaggio, al centro il duomo fondato dal venerabile pellegrino irlandese San Frediano e consacrato dal francese San Martino di Tours. Rampollo del celtico sovrano d’Irlanda nel secolo sesto, Finnian coltivò la vocazione in un monastero di quelle lontane terre cristiane e, appellato latinamente come Frediano, si fece a lungo eremita su Monte Pisano negli italici territori longobardi e la fama di tale Scotto, come qui chiamati i pellegrini venuti dal lontano settentrione, giunse al pontefice Giovanni III che nel 560 lo volle vescovo di Lucca. Mentre faceva edificare chiese in tutto il territorio, qui ricostruì il duomo ove volle l’austero ordine monastico di rigida esistenza dedita alla preghiera, accogliendo pellegrini dalla lontana Irlanda e di tante parti d’Europa, così che divenne “Frediano Uomo di Dio” come racconta Gregorio di Tours. Tra gli altri prodigi del venerabile Frediano si racconta fece mutare il corso al fiume Serchio che a scendere dalle Apuane attraverso la Garfagnana inondava le terre di Lucchesia verso la foce prossima all’ Arno. Dopo quella di frediano, le cronache citano un ricostruzione del duomo nel 1060, poi le forme romaniche assunte nel XIII secolo, così come appare il portico e la facciata che racconta scolpite le storie della Madonna, San Martino e i più profani lavori nei mesi dell’anno, il portale accede alla navata che dirige per l’ arca ove dal 1482 sta il Crocifisso del Volto Santo, venerato da molto tempo e del quale l’Abate Nikulas ne racconta i miracoli.
Il rango del luogo di devozione e pellegrinaggi si manifesta negli arredi e opere che artigiani ed artisti hanno arricchito nei secoli, tra tutto le preziose forme scultoree di Jacopo della Quercia nel sepolcro di Ilaria del Carretto sposa del signore di Lucca Paolo Guinigi che volle ricordarne la prematura scomparsa, conservando però il corpo nella cappella di Villa Guinigi. Quand’egli poi venne scacciato da Lucca nel 1430 , le decorazioni ai lati del sarcofago furono trafugate e lo stesso accantonato da una parte, ingiuria riparata molto tempo dopo riportando i decori e ponendolo in sagrestia ove la giovane di marmo riposa nelle mirabili fattezze scolpite dal maestro e racconta l’estetica quattrocentesca che passava dal medioevale gotico, attraverso il realismo del cagnolino che la veglia di simbolica fedeltà famigliare, a quell’ Umanesimo che annunciava il Rinascimento italico. Da secoli Lucca era meta di pellegrini e sosta verso Roma, l’Ordine dei Canonici Regolari di San Frediano ispirò il pontefice Pasquale II nella riforma lateranense del 1105, ne annota diffusamente Sigerico sulla via Francigena che passava dall’ arco di San Gervasio e la Porta San Donato per sortire ad est dalla porta Elisa verso la vicina Capannori. Nella zona rimangono antiche chiese quali San Lorenzo a Segromigno in monte, San Gennaro del secolo IX attorno alla quale sorse il borgo omonimo e del 1115 è San Leonardo Teponzio, dello stesso secolo quella di Santi Quirico e Giuditta a Capannori su un più antico edificio dell’ VIII, periodo cui risale la menzione vescovile di Lucca in finibus Lucensis loco dicto Capannol, ove era già un hospitalis per pellegrini e chiesa consacrata a San Quirico. Da qui il cammino di Sigerico racconta proseguire sulla destra del fiume Leccio che trovasi a una decina di chilometri da Lucca per Forcri XXV, la venticinquesima sosta, e si pensa che vi portò il culto di San Giusto, suo antico predecessore nell’ arcivescovato di Canterbury assegnatogli da Bonifacio V dopo una ventina d’anni d’ evangelizzazione come vescovo di Rochester nelle terre di Britannia ove era stato inviato dal pontefice Gregorio Magno nell’anno primo del secolo sesto.
Dell’antico borgo fortificato di Porcari rimangono tracce delle mura e resti del castello, fin dal sesto secolo presidio longobardo sulla via per Roma, cronache dell’ ottavo secolo menzionano che ne’ pressi sorse l’ Abbazia di San Sabino a Calci frequentata dai pellegrini e nel mille passò ai nobili Porcareschi per un secolo, poi alla vicina Lucca. Poco oltre si aprivano terre di paludi malsane temute da viaggiatori e pellegrini fino al secolo undici quando furono bonificate e vi sorse il borgo di Badia Pozzeveri con la chiesa di San Pietro che all’inizio del 1100 fu abbazia dei monaci camaldolesi ove sostavano i pellegrinaggi e nei presi si confortavano i lebbrosi del contagio portato dai crociati al ritorno dalla Terrasanta. Due secoli dopo con i contrasti dovuti alla cattività avignonese e al dominio della Repubblica Pisana su Lucca si chiuse il monastero e il territorio tornò malsano come ebbero a descrivere i cronisti a nel 1325 seguito dell’armata fiorentina che assediavano la vicina Altopascio. L’ abate islandese Nikulas sulla via per Roma annota la sosta ad Altopascio ove sorgeva l’ hospitalis voluto dalla contessa Matilde di Canossa per accogliere i pellegrini e dalla lettera greca a croce i dodici fondatori si dissero Cavalieri Tau, dai quali sorse la congrega dei Cavalieri d’Altopascio a metà del mille e poi ordine religioso nel 1239 con Gregorio IX ,stabilito anche a Parigi con la chiesa St Jacques Haut Pas, per quattro secoli dedito a mantenere questa ed altre vie di pellegrini edificando chiese ed ospizi fino alla chiusura nel 1459. Della medioevale gloria il campanile romanico trecentesco aggiunto all’ antico Ospedale di Matilde s’erge sul centro di Altopascio, i resti ne ricordano possenti mura accedendo da una porta in Piazza Ospitaleri ove era il palazzo dei Cavalieri dell’Ordine.La chiesa consacrata a San Giacomo che ne reca la statua sulla facciata, ricorda il legame tra la il Camino di Santiago e la Francigena , anche con opere dell’ ordine d’ Altopascio, da Santa Maria del Pellegrino in via bolognese a Firenze all’ Hospital de Autepas di Parigi e poi verso Santiago si trovano al El Perellò, Astorga e Pamplona in Spagna. Più prossima stava l’accoglienza per i pellegrini Casa Greppi nella vicina Galleno, che nella sua sosta il sovrano francese Filippo Augusto annota Grasse Geline, attorno sorse il borgo protetto da un castello e poi l’altro hospitalis di San Martino in Greppio. Di lì si procedeva a fatica nelle malsane paludi delle Cerbaie tra le terre di Bientina e Fucecchio per Ponte a Cappiano ove cronache del secolo decimo ricordano sita loco e finibus Cappiano la chiesa de’ Santi Pietro e Giovanni Battista e poi in Cappiano a ultra Ponte un hospitalis per pellegrini, mentre non rimane traccia d’un monastero San Bartolomeo forse presente al passaggio di Sigerico che qui annota la sua ventiquattresima sosta Aqua nigra XXIV, già da allora territorio conteso e devastato ove l’armata di Firenze subì sanguinosa sconfitta da Lucca e poi nel cinquecento sorse un forte che dicasi ispirato a progetti dei Sangallo.
A procedere verso l’Arno ove ..” costà, presso l’antica Badia S. Salvatore dove si passava l’Arno su un ponte di barche detto Bonfilli, per entrare nella via francigena..” racconta il geografo Emanuele Repetti, si trova Fucecchio che nel mille era dominio dei nobili Cadolingi e ad essi si deve qull’ abbazia San Salvatore o della Misericordia in Borgonuovo, poi portata sul colle Salamartano all’inizio del 1100 per sottrarla alle piene che in quel tempo avevano travolto l’ antico ponte. Si dice che lo fece ricostruire Allucio, pio benestante di campagna che accoglieva i pellegrini in quello che chiamavasi uno xenodochium , dal greco xéno ospite dèchomai ricevo, ospizio con chiesa a distinguerlo dal più grande hospitale, tenuto dai suoi fratres Allucii. Se ne raccontarono eventi miracolosi e la sua fama s’estese lungo quel percorso di pellegrinaggi che sempre più sostavano nel suo ospizio con la sua chiesa consacrata ai santi Lucio ed Ercolano che ne accolse il sepolcro alla sua morte nel 1134 e ivi proclamato santo cinquanta anni dopo dal vescovo di Lucca.
Accanto ad un ospizio con la chiesa Santa Maria al porto d’Arno, Il ponte di Sant’Allucio stava tra Fucecchio e Colle Pietra e un altro era ne’ pressi della pieve San Leonardo in Ripoli, qui Sigerico annota la sua ventitreesima sosta Arne Blanca XXIII, mentre Filippo Augusto la chiama Arle le blanc, sostandovi nel suo viaggio italico per condurre la terza Crociata in Terrasanta.Qui sull’Arno la Francigena incrociava quella che scendeva l’Appennino da est attraverso la pianura padana e Modena proveniente da Aquileia, ove giungevano le vie dall’ oriente europeo e di dove diramava la via Romea lungo l’ Adriatico collegata all’omonima germanica.
In Fucecchio la meta dei pellegrini era l’antica Abbazia S.Salvatore fondata nel mille dal conte Lotario Caldolo, poi assegnata a Giovanni Gualberto fodatore dell’ Ordine di Vallombrosa nel 1068, quindi passò a Pietro Igneo Aldobrandeschi, che s’era reso famoso per la sottomissione al Giudizio di Dio camminando sui carboni ardenti in Badia a Settimo a dimostrare che il vescovo fiorentino Pietro Mezzabarba aveva investitura simoniaca, a cui papa Gregorio VII concesse il Nullius Dioeceseos così che non dipendeva più dal vescovato.Devastata dalla piena dell’Arno nel 1106 , venne ricostruita sul poggio Salamartano e poi decadde con la fine della podestà dei conti Caldolo pochi anni dopo. A metà del duecento vi si trovavano solo cinque monaci e un abate corrotti e dissoluti forti del Nullius Dioeceseos, dal così il vescovo di Lucca ne fece chiedere concessione dalle Clarisse di Gattaiola al pontefice Alessandro IV e nel 1258 gli sciagurati monaci lasciarono l’ abbazia che divenne la Collegiata di San Giovanni Battista poi ricostruita nel XVIII secolo cos’ come appare dall’ alto della scalinata sulla piazza Salamartano di dove domina la vallata. A continuare si trova il Vico Vallari fondato dai Longobardi n’ pressi del fiume Elsa che entra in Arno e lo si chiamò San Genesio, il gallico di Arles milite romano divenuto cristiano e martirizzato nella persecuzione di Massimiano all’inizio del secolo quarto,come si sa da Venanzio Fortunato e Prudenzio. Poi si dice che il vescovo di Béziers Paolino di Nola cent’anni dopo ne indicò la beatificazione a martire e il suo culto si diffuse per l’occidente Europeo dalla Francia di dove giunse in Italia con i pellegrini che qui sostavano. E’ il Sanctinus borg citato dell’Abate Nikulas che Filippo Augusto nomina come Seint Denis de Bon Repas, mentre fu la sosta Sce Dionisi XXII per Sigerico.Ne rimangono i resti della pieve S.Genesio del secolo ottavo, devastata nel 1198 e di nuovo edificata da Lucca, però nel 1236 la pieve e battistero andarono in San Miniato nella Cattedrale , il cui campanile ricorda Matilde di Canossa che si dice qui ebbe i natali.Su tre colli tra l’Arno e l’Elsa il posto è antichissimo di insediamenti, si sa fu villaggio etrusco e poi romano che se ne perse memoria fino alla rifondazione longobarda nel secolo ottavo con una chiesa consacrata a Miniato martire a metà del terzo secolo sotto Traiano Decio.
Dopo che i territori longobardi furono presi dai Franchi, alla fine della dinastia Carolingia nel 962 fu parte del Regno d’Italia nei domini del Sacro Romano Impero divenendo vicariato di Toscana sotto Ottone I con un maniero “in loco et finibus ab castello ed Monte ubi dicitur Sanminiato” citato nell’ anno mille e poi ricostruito con una poderosa torre da Federico II all’ inizio del duecento. Fu la Rocca di San Miniato a dominare per tre secoli la città e i dintorni ove la Francigena incrociava la via tra Pisa e Firenze e perciò furiosamente contesa nel medioevo, qui Federico II si dice fece accecare il suo notabile Pier delle Vigne accusato ingiustamente di tradimento trovato da Dante tra i suicidi nel XIII dell’ Inferno “L’animo mio, per disdegnoso gusto,credendo con morir fuggir disdegno,ingiusto fece me contra me giusto”. Andò venduta nel 1530 a dimora di Michele Mercati, medico e scienziato al servizio dei pontefici Pio V , Gregorio XIII e Sisto V e Clemente VIII , simbolo della città e mille anni di storia travolta anch’ essa dalla furia nazista nella tragica estate del’44, mentre si consumava una delle tante mostruosità con la strage del Duomo si S.Miniato. La si trova ricostruita così com’era con la vista che spazia sulla città e le sue terre ove per secoli transitarono pellegrini anonimi e celebri come Francesco d’Assisi che vi fondò il convento poi arricchito ne’ secoli come lo si ammira nei due chiostri e la chiesa dal’unica navata impreziosita da artisti del seicento e settecento, dietro l’altare il coro quattrocentesco intagliato da Giuliano di Baccio D’Agnolo, mentre nell’antico refettorio è rappresentata la cena di San Francesco e Santa Chiara dipinta da Carlo Bambocci.Rimangono i resti dell’ Ospitale di Santa Croce che accoglieva i pellegrini assistiti dagli Ordini Mendicanti, di presso fino al settecento v’era un altro luogo di assistenza dei Cavalieri Ospitalieri di Gerusalemme.