Il Triangolo d’ oro birmano
Tra il territorio settentrionale della Thailandia e un lembo nord occidentale del Laos si stende al centro la regione montuosa birmana coperta da foreste che occupa gran parte del così detto Triangolo d’ oro, abitato fin dall’ antichità da comunità tribali e dove nei secoli migrarono altre popolazioni in gran parte provenienti dal vicino Yunnan cinese. La regione birmana più orientale venne occupata dal popolo Tai Yai noto come Shan e le varie tribù si spinsero sempre più all’ interno con comunità e villaggi rimasti isolati per secoli.Dai vicini Thai, i Mon e gli Shan birmani, spesso in conflitto con loro, i Karen e tutte le altre popolazioni tribali della regione hanno appreso la dottrina della Scuola degli Anziani o Theravada che, pur mantenendo antiche tradizioni animiste e sciamaniche, si diffuse tra le popolazioni tribali ove il culto birmano del buddismo convive con le antiche tradizioni animiste e i culti sciamanici verso gli spiriti e una divinità creatrice suprema che, attraverso il mito Ylwa, ha permesso agli antenati di insediarsi sulla terra praticando l’ agricoltura e conoscere le leggi sovrannaturali che governano il mondo. Tutte le cose e gli esseri viventi hanno propria forza sovrannaturale interpretata dagli sciamani pagho, per i Karen e le altre popolazioni tribali lo sciamanesimo rimane la pratica che permette alla comunità di entrare in contatto con gli spiriti della Natura e degli antenati attraverso la possessione temporanea dello sciamano che può così trovare le cause soprannaturali degli eventi e delle malattie, esercitando rituali e pratiche magiche per scongiurare eventi nefasti provocati da spiriti offesi o entità maligne, mentre per la cura delle infermità è affidata ad esorcismi e pozioni medicinali. Le cerimonie collettive e propiziatorie sono dirette dal capo villaggio e da una donna anziana con funzioni sacerdotali attraverso ritualità e offerte che coinvolgono l’intera comunità, spesso connesse alle varie fasi del ciclo agricolo, le nascite, i funerali o le calamità provocate dagli spiriti più potenti offesi da qualche azione umana o il mancato rispetto di importanti tabu.
Il mondo dei Karen
Tra i più numerosi i Karen coinvolti nel lungo conflitto con i regimi birmani che si sono susseguiti dopo l’ indipendenza sconvolgendone l’ antica identità in una guerra senza fine tra aspirazioni indipendenti e interessi di trafficanti. Tradizionalmente diviso nelle grandi comunità tribali dei Karen Rossi e i Karen Bianchi, dai colori predominanti in alcuni capi di abbigliamento, i Rossi si distinguono dai bianchi per la statura più alta, il colore della pelle più scuro e i lineamenti mongolici meno marcati, gli uomini generalmente possiedono vistosi tatuaggi dal significato magico e decorativo, mentre le donne indossano elaboratissimi copri capi e una grande quantità di monili. In gran parte occupano lo stato omonimo dei Kayah noti anche come popolo dei Karenni che condividono parte dei territori birmano e thailandese della regione con i vicini Kayan, di tradizioni, cultura e stirpe simili come le tribù dei Kayan Lahwi noti come colli lunghi o Padaung per l’ antica e crudele tradizione di sottomissione applicando fin da bambine collari femminili che allungano il collo. I Karen bianchi è sono mediamente più bassi, la pelle gialla e i lineamenti mongolici più accentuati, mentre l’abbigliamento e gli ornamenti sono simili a quelli dei rossi salvo che per i colori dominanti, a loro volta suddivisi nelle due grandi tribù degli Sgaw e dei Pwá distribuiti in molti villaggi tra i confinanti territori birmano e thailandese ed alcuni in quello laotiano. Le grandi abitazioni di bambù possono contenere una trentina di spazi per diverse famiglie affacciati su un corridoio interno ed una veranda esterna, mentre gli uomini non ancora sposati risiedono nell’ apposita capanna comune separata blaw, dove vengono accolti anche gli ospiti. Tradizionalmente i villaggi erano temporanei e abbandonati dopo alcuni anni, quando i terreni si esaurivano con l’ agricoltura intensiva, gli spostamenti sempre preceduti da riti sciamanici e con gli auspici favorevoli, trovato il nuovo terreno si celebravano cerimonie con offerte agli spiriti prima di fondare il nuovo villaggio. Con l’ introduzione della rotazione agricola e dell’ irrigazione sono ormai tutti diventati sedentari coltivando in gran parte oppio per i trafficanti, approfittando dell’ ubicazione poco accessibile, sostituendo anche le tradizionali coltivazioni di riso ed ortaggi con quelle più remunerative del papavero.
L’ universo degli spiriti
La regione è popolata dalle grandi comunità delle tribù Lu, diffuse anche nello Yunnan e Laos, quelle dei Ta’ang o De’ang meglio noti anche come Palaung e, tra le altre varie popolazioni tribali tradizionali vicine, quelle degli Akha rimaste a lungo isolate. In questo territorio ove si rifugiarono hanno resistito per secoli ai potenti Shan e ai regni fondati dai Mon birmani, spingendosi tra le foreste di montagna meno accessibili in villaggi sorti in posizioni difensive. Vi giunsero poi anche comunità di Wǎzú di origini cinesi meridionali qui chiamati Va e a nord est del territorio Shan l’ altra popolazione cinese dei Guǒgǎn Zú dai birmani noti come Kokang, mentre dal vicino territorio laotiano sono arrivati in poche più recente i Lao diffusi anche nella regione thailandese nord orientale dell’Isan.
Per la loro mitologia sopravvissero al grande diluvio Il fratello e sorella Fu Hsi e Nuwa, la loro unione incestuosa generò gli antenati delle comunità tribali dei Miao provenienti dello Yunnan che migrarono nei territori birmani ed indocinesi dove sono chiamati Hmong. Fieramente indipendenti si sono sempre scontrati con i governi dei paesi indocinesi, dopo la seconda guerra mondiale i governi cinese e vietnamita ne concessero una certa autonomia e identità culturale nei loro territori, mentre quello thailandese e birmano ne tentò un’ integrazione forzata provocando una guerriglia che continua tra le montagne del triangolo d’ oro, dove la coltivazione di oppio é diventata predominante, affidata alle donne fino al raccolto, mentre gli uomini si occupano della confezione che poi vendono ai trafficanti che garantiscono anche la difesa armata dalle incursioni governative delle zone di produzione più importanti. I Meo, come sono qui chiamati i Miao, sono celebri per la tessitura e loro costumi elaborati di colore nero con guarnizioni policrome e splendidi copricapo, arricchiti da monili e gioielli, simboli di ricchezza e prestigio, derivante soprattutto dal commercio dell’oppio. Tutti gli abitanti di un villaggio appartengono allo stesso clan con varie famiglie Lche neng sotto dirette dai capi Tucheu-che che formano un consiglio governante la comunità ed elegge i rappresentanti nelle riunioni tribali. La discendenza patrilineare non rappresenta una predominanza maschile, le donne hanno libertà anche dopo il matrimonio, stipulato con un pagamento ai genitori della sposa, da restituire al marito in caso di divorzio, le donne sposate vanno nella famiglia del marito, ma se divorziano lasciando il villaggio i genitori devono essere risarciti, perché con il matrimonio la donna ha cambiato anche il proprio clan originario . La religione e spiritualità è una sintesi dell’ antico animismo,varie influenze cinesi taoiste e il buddismo, le famiglie hanno proprie divinità protettrici, mentre quelle collettive della salute Imperatore di giada e della ricchezza Quarto mandarino sono di origine cinese, diffuse tra la popolazione Han taoista. Anche le pratiche sciamaniche animiste si sono integrate mescolate alla tradizione cinese taoista, come lo stato di trance dello sciamano per cercare le anime perse divenute malefiche da esorcizzare, nel suo viaggio per il mondo dell’ aldilà spiriti è accompagnato da spiriti di origine taoista parlando in cinese e da quelli tradizionali usando la lingua tribale. Per curare le infermità gli sciamani usano le antiche formule magiche taoiste Kaeu-Kong che pronunciano nella lingua cinese han, incomprensibile al resto della popolazione e che si tramandano da generazioni.
Per gran parte di queste popolazioni le ritualità funebri sono fondamentali nella vita tribale, per alcune basate sull’ antica credenza delle tre anime di ogni individuo, alla sua morte una si reca nell’aldilà, una rimane nel sepolcro e l’ ultima si reincarna in un altro essere vivente, il defunto rimane a lungo in casa vegliato dai parenti e visitato dal clan con cerimonie e sacrifici di animali al suono di tamburi sacri e trombe Krleng che deve guidare verso l’ oltretomba. Alla fine lo sciamano celebra il rito cantando allo spirito del defunto le origini dell’ universo, della vita e della morte, poi aiuta l’anima della reincarnazione a raggiungere il villaggio celeste degli antenati da dove potrà tornare tra i vivi. Finite tutte le cerimonie viene seppellito lasciando cibo ed acqua all’ anima del sepolcro che, prima di risiedere nel suo sepolcro vaga per tre anni tra i vivi soffrendo per la vita perduta, da placare con sacrifici rituali di anima li eseguiti dallo sciamano meng-gong.
Ho cercato quel modo arcaico ove un tempo la vita era scandita dai cicli della natura, antiche tradizioni , cultura e costumi ove il buddismo e antichi culti cinesi convivono con il mondo degli spiriti ed antenati nelle cerimonie e i riti sciamanici in questi sperduti villaggi tra montagne e foreste, spesso di difficile accesso, ma non per le asperità del territorio.
Triangolo dell’ oppio
I villaggi sorgono in posizione difensiva e poco accessibile accanto i campi di papaveri con capanne che ospitano più famiglie, tradizionalmente erano abbandonati dopo qualche anno di completo sfruttamento dei terreni circostanti, ma da quando l’ oppio è divenuta la principale coltivazione sono più stabili , soprattutto nelle zone di grande produzione, raramente insidiate dal governo birmano nelle millantate campagne contro il traffico di droga e, comunque, difficilmente le coltivazioni di papaveri non troppo estese vengono proibite alle comunità tribali della regione. Dopo averla conosciuta mi è difficile annotare solo i suggestivi ambienti naturali e la cultura tradizionale dei popoli che ci vivono, per secoli vi hanno coltivato Il papavero da oppio che, quando venne scoperto dai primi mercanti cinesi e poi dai trafficanti, questo remoto Triangolo di territorio tribale divenne d’ oro, per le immense ricchezze generate dalle sempre più estese piantagioni di papaveri chiamati somniferum dalle propietà narcotiche che contiene, da esso sul posto si estrae la resina lattiginosa che diventa oppio, che già così com’ era ha intossicato generazioni di inebriati fumatori tra oriente ed occidente, ma il vero tesoro è stato poi tratto dalla sua lavorazione per trarne la sostanza che compone la morfina, non solo come prezioso medicamento che combatte il dolore, ma base della più devastante droga che ha ucciso e ridotto in schiavitù più d’ ogni guerra nella storia, da quando si è diffusa la micidiale eroina. Il tradizionale isolamento dei villaggi più remoti non è più dovuto all’ asprezza del territorio, arrivarci è un rischio quotidiano anche se si trova un contatto che può labilmente garantire l’ incolumità tra quelle bande armate e minacciose che controllano tutto e tutti. Si capisce arrivando in quei villaggi con gli uomini che, tra un raccolto e l’ altro, passano la giornata ciondolando e ti guardano inebetiti in sbuffi di fumo acre come unico conforto alle fatiche, le donne che danno distrattamente mano alla casa e i bambini che sciamano ancora inconsapevoli di un destino che li ha maledetti, mentre partono i carichi che arricchiscono i trafficanti e avvelenano il mondo. Dopo il devastato Afghanistan questo Triangolo d’oro birmano è il secondo territorio al mondo nella produzione di oppio e le micidiali sostanze che ne derivano per il grande traffico internazionale sulle lucrose vie della droga che incrociano il mondo, dall’ eroina asiatica alla cocaina sudamericana, di esse è qui uno dei centri da dove nasce l’ eroina di quel devastante narcotraffico. Seguendone le vie che diramano nel mondo dai villaggi più remoti di queste montagne controllati dalle milizie armate, una parte carichi passano nel territorio cinese dove le organizzazioni criminali dominate dalla potente mafia della Triade li convertono in eroina imbarcata nei porti cinesi meridionali per i mercati occidentali. Verso quelli orientali provvedono gli indisturbati trafficanti locali portando la merce oltre il confine laotiano ad est passando per la Cambogia e la regione indocinese, ove parte è lasciata al devastante consumo locale fino al Vietnam per essere imbarcata. Un’ altra via passa il confine nella Thailandia meridionale ove una parte prende i percorsi dell’ ovest ed una scende nella penisola della Malesia , nonostante le severe leggi di quel paese che qui come altrove poco riescono ad ostacolare il lucroso traffico, seguendo quella che fu l’ antica via delle spezie e, sempre rimanendo una parte per il micidiale consumo locale, procede sulla la via più orientale attraverso l’ Indonesia, ammorbando il sud est asiatico.