Balcani

Montenegro

Per le scure foreste che ammantavano le Dinara Planina agli estremi della Dalmazia appariva come un monte nigro nella romana Illiria, incastrato tra le Alpi dinariche e l’Adriatico e popolato da quei nigri latini che se ne trovano i discendenti Morlacchi tra quelle montagne. Di lì ne venne il nome Montenegro dalla Serenissima che ne fu padrona nella sua Albania Veneta e infine la slava foresta scura Crna Gora quando sorse il Principato di Zeta in quegli antichi territori di Doclea. La storia scorre sulla sua geografia giacchè posizione di ambita tra le montagne e la costa, era l’antico territorio degli Illiri e fu tra le colonie dei Greci, ci giunsero vaganti tribù di Celti, poi i romani con le guerre illiriche e sorse la provincia Illyricum.Passarono i secoli e il romano impero si divise tra Occidente ed Oriente, la vecchia Illyricum fu bizantina e poi giunsero gli Slavi, mentre infuriavano le incursioni degli Avari, l’imperatore Eraclio da Bisanzio chiese intervenire i serbi Bojka di Lusazia, così che Crna Gora e il resto della Dalmazia divenne slava poi evangelizzata al Cristianesimo, passando alla chiesa ortodossa dopo lo Scisma con quella latina. Lunghe e travagliate le vicende medievali di quella Doclea che poi divenne il Principato di Zeta e infine anche qui la Serenissima marinara repubblica di Venezia estese il suo dominio in Dalmazia e vi sorse l’ Albania Vèneta. Tutto la ricorda lungo la magnifica costa nell’ arte e le tradizioni, tra quelle che furono fiorenti centri da Castelnuovo all’elegante Perasto, dallla ridente Risano al borgo marinaro di Budua e quella che fu la splendida Cataro. Dall’inizio del quattrocento per tre secoli è fiorita contenendo l’ espansione dell’ impero ottomano, ne fu protettorato di fiera indipendenza dopo la trecentesca dinastia Balsic alla quale seguì la Crnojevic nel secolo seguente, poi la Vladika e infine la teocrazia dei Vescovi dinastici Petrović-Njegoš a governare la Crna Gora fino alla metà dell’ottocento. L’ ultimo Petrović-Njegoš fondò il Principato di Montenegro nel 1852 ispirandosi alle leggi del teocrate beatificato Petar I Petrović-Njegoš, seguì il regno Kraljevina Crna Gora con Knjaz Nikola, che divenne Kraljevina Jugoslavija nel 1921 retto dalla dinastia reale serba Karađorđević. fin quando nei Balcani giunse la guerra con l’invasione della Jugoslavia. Nel mentre dell’ occupazione italiana e il suo fantoccio Regno, sorgeva l’esercito Popolare di Peko Dapčević e la Resistenza_jugoslava che vide l’eroica partecipazione della brigata italiana_partigiana Garibaldi. Alla fine nacque la Socialisticka Republika Crna Gora federata alla Socialista di Jugoslavia e s’andò per quarant’anni in pace, come chi è venuto da queste parti all’ epoca se lo ricorda, sarà stata anche un po’ misera la vita al tempo dell’autoritario Josip Broz Tito, ma assicuro che in tanti qui e negli altri stati di quella Jugoslavia se la rimpiangono. Sta di fatto che quando s’è dissolta si sono scatenate quelle guerre che se ne ricorda la devastazione nella vicina Bosnia, l’incontenibile odio tra croati e musulmani, i massacri come a Srebrenica e tutto il resto di nefandezze criminali che accatastano gli orrori nel Tribunale internazionale. La neonata Republika Crna Gora s’ unì alla Republika Srbija nella Savezna Jugoslavija per poi staccarsene con referendum nel 2006, interessata ai suoi spesso loschi traffici nella benevola comprensione del balcanico caudillo Milo Djukanovic che da venticinque anni ne è padre padrone. Ha avuto breve pausa l’intrigante Djukanovic tornato al potere, anche interrogato dall’ italica magistratura per storie di contrabbando e relazioni con la Crnogorska Mafija. Della potente confraternita criminale montenegrina è ridondante il nostrano rapporto’antimafia che è andato indagando sulla Montenegro connection governata da sinistri padrini dei Balcani d’una narcomafia con altri lucrosi interessi tra contrabbando, traffici umani, riciclaggio e droga. Erano e sono molti gli interessi della congrega locale ben protetta e in buoni affari con lo stato mafioso del Kosovo benedetto dall’idiozia europea e stelle a strice con la guerra che l’ ha fatto sorgere, nonché con la la potente mafia dei serbi che qui la si chiama Nasa Stvar.Questo territorio s’addolcisce di clima costiero e s’irrigidisce negli inverni montuosi laddove lussureggia di boschi ed endemica vegetazione che accoglie una ricca fauna e brilla di laghi, a settentrione s’erge quella che qui la chiamano montagna selvaggia ove s’inseguono foreste e laghi tra i massicci calcarei di Bjelasica e Durmitor intarsiati dal sinuoso Cehotina e l’irruente Piva, il suggestivo Morača dal magnifico canyon e il Tara che ha scavato la più lunga gola d’ Europa. Anche qui come in altre zone della sua Jugoslavia il buon Tito consacrò parchi splendidi a Durmitor e Biogradska, se ne ammira la suggestione che continua verso la riserva naturale nella zona del monte Lovcen e Il magnifico lago di Scutari.Dalla Narenta dell’ Erzegovina giunge impetuoso il fiume Tara che traversa il magnifico massiccio del Durmitor protetto patrimonio dal suo parco nazionale nella selvaggia suggestione che lascia immagini indelebili e partendo dalla cittadina di Zablijak s’estende con i monti Prokletije verso il Kosovo e Albania venendo da est per il České Budějovice dalla cittadina di Plav. A procedere per il Kolašin s’attraversa il magnifico parco della Biogradska fino alla cittadina di Kolasin la strada che scende sinuosa per la valle di Bjelopavlići porta a Danilovgrad e più oltre si trova la grande Nikšić. D’altra parte tra le suggestioni di questa natura prorompente si procede incontrando gli antichi rifugi katuni per il villaggio di Njeguši donde veniva la dinastia dei Petrović Njegoš . Dall’alto del Jezerski vrh sul monte Lovecen la vista spazia magnifica sull’ area di Cetinje che la chiamano Valle degli Dei tra il parco di Scutari e quello di Lovcen, poco distante il mausoleo dell’aquila sorto nel seicento per il vescovo Danilo a competere di suggestioni con il vicino mausoleo di Lovcen. Di lì si scende per la denominata dai veneti Cettigne, l’antica capitale che la si conosce come Cetinje fondata al fine del quattrocento da Ivan Crnojevic della dinastia Balsic ed ultimo sovrano del Principato Zeta, attorno al suo castello e il monastero per il metropolita del regno in questo luogo inaccessibile e ben difendibile dagli assedi che seguirono ne’ secoli. Fu subito centro religioso, di potere e cultura, qualche decennio dopo che s’inventò la stampa il nobile 0juradj Crnojevic creò la prima tipografia dei Balcani e con l’Oktoih prvoglansik il primo libro liturgico stampato in cirillico serbo. Cetinje se ne sta austera della sua storia da antica città lontana dalle devastazioni edilizie e dall’ organizzazione dell’ammassato turismo in Montenegro, scendendo dal mausoleo di Orlov krs per malo slacko verso la città che la si scopre dal monastero con le sue preziose reliquie e a continuare al Njegusi tra gli austeri palazzi, la reggia del re Nikola e il monumento di Ivan Crnojevic. A ritroso nel suo passato al museo-storico e quello etnografico, passando per l’ Umjetnicki muzei, il reale teatro Zetski dom, l’archivio storico e la Biblioteka crnojevic, ma gli scrigni più preziosi stanno nelle chiese e monasteri che s’aprono nelle chiese ortodosse Montenegrina, di Cipur e di Valacchia.Orgogliosi del loro passato, lo sono altrettanto delle risorse di questo territorio e qui la gente consiglia di percorrere altri percorsi sulle vie del miele e del vino raccomandando di non perdersi il loro celebre prosciutto, così piacevolmente lontane dagli orrendi ristorantifici e i deprimenti baracconi chiassosi che infestano la costa. La popolazione va concentrandosi nella pianura attraversata dal fiume Zeta e la regione che comprende Il lago Scutari con il suo parco e ove sorgono Nikšić e la capitale Podgorica, che fu Titograd attraversata dai fiumi Ribnica e Morača e adagiata sulla piana dello Scutari solcato dagli altri fiumi Zievna, Mareza, Sitnica, Sitnica e Zeta che la rendono fertile. Già in epoca ellenica ne’ pressi sorgeva un borgo che poi divenne Doclea ad onorare l’ imperatore Diocleziano nativo della Dalmazia, nel secolo dodicesimo sorse Birziminium e poi i serbi di Travunia fondarono la la slava Ribnica a centro del Dukljia noto Principato di Zeta che infine fu Podgorica, dal colle Gorica che la sovrasta. Fiorendo dei balcanici commerci veneziani anch’essa cadde nel dominio ottomano che prese controllo di quelle vie edificandovi una poderosa fortezza a proteggerle e a contenere le scorrerie dei tribali slavi, poi mutò ancora nome nel turco Böğürtlen della provincia vilayet di Scutari e s’attese il Congresso di Berlino nel 1878 per l’indipendenza, quando il primo conflitto mondiale accese l’Europa l’ impero austro ungarico ne prese possesso e al fine fu nel regno di Jugoslavia. Occupata, devastata e martoriata dai nazifascisti durante la seconda guerra, venne liberata dall’armata partigiana del maresciallo Tito come il resto del regno e fu la Titograd capitale della Repubblica Socialista, federata alla Jugoslavia alla cui fine tornò ad essere Podgorica e poi capitale del Montenegro di nuovo indipendente. Le aspre montagne si stagliano magnifiche la costa dai tre massicci del Rumija su Bar, Orjen sopra Herceg Novie il magnifico monte Leone del Lovčen protetto dal suo parco a dominare il patrimonio adriatico delle Boka Kotorska e Kotor e di qui si risale per l’ incanto dell’Ostroska Greda. Dalla piana di Bjelopavlic traversato l’ antico ponte sul fiume Zeta, la strada s’arrampica di impressionanti tornanti per la montagna che strapiomba stretta senza ripari alla vista magnifica e impaurita dei fedeli stretti nell’angusto veicolo, però basta invocare pregando Sveti Vasilije Ostroski e di sicuro si va tranquilli per la parete rocciosa di Ostroska Greda che domina vertiginosa quest’angolo di Montenegro. Scolpito in alto sulle rocce a picco s’apre il monastero di Ostrog com fondato dal metropolita Vasilije dell’Erzegovina nel seicento in questo luogo impervio portandovi i monaci da quello serbo di Tvrdos devastato dagli ottomani. Poco dopo la dipartita del pio bosniaco Basilio giunse la sua santificazione e le spoglie qui reliquate nella chiesa rupestre consacrata alla Madre di Dio al Tempio. Devastato da incendio negli anni venti del secolo scorso il monastero fu ricostruito attorno alle chiese rupestri affrescate risparmiate dal fuoco, con le celle e il dormitorio monastici che con il magnifico paesaggio, lo consegnano ad immagini di suggestione unica. Ad Ostrog dal più grande monastero inferiore con le residenze attorno alla Chiesa della Santissima Trinità, si sale di ripida e tortuosa via al candido monastero superiore che s’apre magnifico con la chiesa Santa Croce scavata nella roccia dagli spendidi affreschi rupestri seicenteschi di artisti serbi e Jovan con scene di vita cristiana d’un lato e dall’altro del maestro Radul raffiguranti il Redentore e i santissimi Sava e Basilio. Questo monastero è meta d’ uno dei pellegrinaggi più devoti alle reliquie di Basilio Sveti Vasilije Ostroski, tra i più visitati nei Balcani e consacrato a luogo di incontro di ortodossi, cattolici e musulmani, giacchè a sentirne le storie di pellegrini, chi v’arriva d’ogni confessione pregando vicino al reliquie di Basilio d’Ostrog, molti sono stati guariti e tanti hanno affievolito le afflizioni della vita.Ove sta Budva sorgeva fin dal remoto decimo secolo una delle più antiche tra le colonie greche d’Illiria, poi centro illirico e più tardi territorio romano, nel medioevo fu il borgo fiorente e sede vescovile di Butua, poi nel quattrocento dominio della Serenissima nella sua Albania Veneta per oltre trecento anni. Anche qui Venezia, innalzò mura a proteggere il suo porto e l’elegante borgo marinaro dell’antico centro dai palazzi e chiese tra le strette calli che s’aprono nelle piazze carezzate dalla brezza del mare blu a contrasto dei cromatismi di antichi edifici. Budva resistito agli assalti ottomani, terremoti, pestilenze, conflitti e guerre dopo il dominio veneto, le vicende della storia Jugoslava prima e dopo Tito per finire ingloriosamente anch’essa centro della speculazione edilizia per la devastata Budvanka rivijera. Dalle montagne che la sovrastano al mare è un’orgia di edile speculazione, orrendi palazzi, casermoni, agglomerati che deturpano lo spirito oltre la natura che della suggestione che fu è ormai difficile figurare se non chi vi sia stato prima e ne conserva il ricordo. Quell’antica città che arrivarci all’epoca della titina Jugoslavia appariva di antica suggestione a svelare calli sinuose tra splendide facciate e chiese, emergendo d’ eleganza da Santa Trinita a Sveti Ivan per San Troica e poi tra ciò che resta delle fortezze per la cittadella da dove la vista spazia dall’alto a cercare quel che rimane delle antiche immagini. Parlarne al passato è tristemente doveroso giacchè anche qui le immagini di Stari grad sono soffocate d’estetica devastazione, locali rumorosi la sera che si sono presi ogni angolo degno, tavolini, orrendi tendoni ed insegne che s’accalcano fin sulle porte di chiese e palazzi dell’antico centro con lo sciamare di turisti affamati di fast food e ciarpame da souvenir. Sarà difficile salvare Budva e le spiagge di vecchia memoria fittedi bar, locali, discoteche e quanto può devastare secolari equilibri, le acque calme e cristalline dell’Adriatico sconvolte d’ogni genere di fragorosi natanti in un’orgia di basso e cialtrone consumismo che ha sconvolto anche qui ciò che era e che non sarà mai più.Di qui si va lungo la Budvanska rivijera per il vicino scoglio di Sveti Stefan che appare sottile penisola ove sorgeva un villaggio di pescatori menzionato dalle cronache della Serenissima nel quattrocento, pressoché abbandonato al fine dell’ultima guerra, antico centro suggestivo e silente poi trasformato in lussuoso complesso vacanziero esclusivo che lo si può vedere solo da lontano. Poco oltre si stendono le spiagge ghiaiose di Milocer addensate anch’esse di inquietanti localetti estivi che sparano consumismo ai voraci bagnanti fin al vecchio villaggio peschereccio di Przno che ripropone l’animato susseguirsi di bar, ristoranti, residences, discoteche e quanto serve a ben stravolgere anche qui ciò che era. La devastata Budvanska continua a Becici ove s’è pensato bene collegarla con trenini elettrici, giacchè quel paio di chilometri magari a piedi sarebbero troppo tranquilli, a pensare che una cinquantina d’anni or sono s’era guadagnata l’onore d’esser dichiarata la più bella spiaggia mediterranea. Il vecchio villaggio di Castel Lastua è divenuto Petrovac, ne rimane un po’ di fascino con la chiesetta di San Domenico e la lunga spiaggia davanti gli isolotti Katic e Sveta Nedjelja dai magnifici fondali, nella patologica ansia del devastante modernismo montenegrino anche quest’ameno luogo non poteva esser graziato dalla consueta sequenza di bar, locali, ristoranti che s’inseguono fino a quella che era la solitaria baia sabbiosa di Lucice e la sua delicata pineta. Lasciando la compromessa suggestione della rivijera, si va cercando ciò che rimane d’una magnifica costa, meno violentata che s’allunga sinuosa nei monti Orjen con le Boka Kotorska che veneziani dominatori la menzionavano Boche de Càtaro incrociandoci rotte di commerci ed edificando porti, città, paesi e fortezze ad arricchirne la suggestione. Con magnifici volteggi s’ insinua profondo il fiordo di mare cristallino tra i rilievi calcarei ammantati di macchia e boschi negli splendidi contrasti blu e turchesi tra cielo e mare con le rocce candide il verde intenso degli Orjen. S’entra a nord dalla penisola Prevlaka che striscia sottile in quest’angolo dell’Adriatico dalla croata Dalmazia tra Punta d’Ostro e Oštri Rtič Punta d’Arza, che dopo esser stata contaminata d’ uranio è anch’essa minacciata dall’aggressiva speculazione. Attraverso canale di Kumbor dalla prima baia si va nella più vasta di Teodo, il passato incanto e i contrasti costieri che affliggono nostalgici, continuano da Tivat sul litorale ove s’allunga la peninsola di Luštica dalla spiaggia di Dobreč che è altro magnifico lembo d’Adriatico ormai consacrato ad approdo di yacht e lussuosi resorts nella Lustica bay. A proseguire si trova un po’ pace nel barocco monastero San Savina prossimo ad Herceg Novi che fu l’antica Castelnovo sorta sulla rotta tra Ragusa e Cattaro nell’ Albania Veneta, poi presa dai turchi al fine del quattrocento che la tennero per due secoli fino alla ripresa della Serenissima e poi dal settecento la sua storia seguì quella del resto del Montenegro. Da sempre incanta questa Herceg Novi affacciata sulla sua baia e dominata dalla turca fortezza Kanli kula e la ricostruita Spanjola, s’arrampica tra i giardini profumatI sul colle verso la città vecchia stari grad di antichi edifici sorti dai domini di Venezia e degli ottomani. DaTrg Nikole Đurkovića si va per la scalinata Tvrtko e la piazza Bellavista Hercega Stefana, la torre dell’Orologio Sahat kula simile ad altre dei baazar nei balcanici domini turchi. Le remote origini del teritorio ove è sorta questa città le si trovano nel rastko muzej e Il fiorire europeo di Herceg Novi tra palazzi e le eleganti chiese barocche, ma come quelle di San Gerolamo, dalla piazza Bellavista le le immagini dell’ ortodossa chiesa dell’Arcangelo e il suo Prevlaka con la vicina antica fontana, sono soffocate dai consueti e devastanti tavoli, tendoni di bar e rivendite di chincaglierie consacrati dal comune agli sciami turistici che ci ronzano attorno.

Dalla memoria di quel che fu Castelnuovo tornando a Tivat, s’attraversa lo stretto delle Catene per un paio di chilometri a nord verso la baia di Risano con il suo accogliente centro di Risan, poi oltre il villaggio Zelenika a sud nel magnifico golfo di Cattaro, mentre più all’interno s’aprono le due baie tra le pareti rocciose delle Alpi Dinariche ove s’erge maestoso il monte Lovćen che domina l’antica Cattaro veneziana divenuta Kotor e la sua splendida baia nelle Bocche di Cattaro. Fu l’antica Acruvium romana poi presa dai Goti, scacciati dai bizantini di Giustiniano nel secolo sesto, ma non resse al saccheggio dei Saraceni duecento anni dopo e alla devastazione dei Bulgari all’alba dell’anno mille che la presero per poi cederla al serbo Regnum Rasciae provocando rivolte sostenute dalla vicina Ragusa che ne preservò l’autonomia pur rimanendone protettorato. Nella diocesi, che comprendeva questa parte di Dalmazia e la prospiciente Puglia, per tutto il medioevo sorsero chiese e monasteri a contenere la bulgara eresia del Bogomilismo. Mentre fioriva competendo i commerci alla potente Ragusa, verso la fine del trecento alla caduta del regno Serbo, chiese protezione alla Serenissima per sfuggire all’ espansione degli ottomani nei Balcani, nell’anno domini 1420 a cui risale il veneto splendore di Cataro sulla rotta per i Balcani e l’ oriente prossimo, con poderose fortificazioni a proteggerla, che ancora s’ammirano come patrimonio. Quando l’ ottomano impero prese Scutari e il resto d’ Albania rimase Stato da Mar della Serenissima e centro dell’ Albania Veneta che qui andava da Risano a Budua continuando ad esser governata dallo Statuta et leges civitatis Cathari con il Consiglio dei Pregati senatorio assieme al Maggior consiglio dei nobili e il Minor del popolo. Mentre oltremare splendeva il Rinascimento e sorgeva l’Umanesimo, per due volte Cataro fu assediata dai vicini ottomani, flagellata dalla peste e devastata da terremoti tra il cinquecento e il seicento. Quando le potenze d’Europa si spartirono i Balcani a Campoformio nel 1787, la veneta e nobile Cattaro passò agli Asburgo, poi al napoleonico Regno d’ Italia, alla sua caduta fu per breve tra le Province Illiriche di Francia e infine tornò all’Austria dopo il Congresso di Vienna, ma il popolo anche qui ebbe il il suo quarantotto che infiammava l’europea Primavera dei popoli. Vi furono cataresi anche tra i mille di Garibaldi come Marco Cossovich e l’ impeto risorgimentale continuò fino alla grande prima guerra che qui vide furibondi scontri tra dalmati e austriaci, poi anch’essa entrò nel Regno di Jugoslavia.Con la seconda guerra giunse l’italico Governatorato di Dalmazia e il dominio nazifascista sconfitto dalla Resistenza per divenire anch’essa parte della socialista Jugoslavia con le vicende successive la definirono nel Montenegro indipendente. Gloriosa Cattaro dall’ antico centro che aleggia d’anima veneta diramando dalla Piazza d’Armi glavni gradski con la Torre dell’orologio gradski toranj per le strette calli ove affacciano eleganti palazzi e chiese dalla medievale Svetog Tripunan con la sua Cattedrale di San Trifone alla romanica San Luca e la collegiata Santa Maria del Fiume. Dominata dalla possente fortezza che la racchiude nelle sue mura, si va cercandone la storia sfuggendo lo sguardo dallo sciamare di visitanti tra le orrende chincaglierie e deturpanti locali insinuati in ogni angolo di questo patrimonio. Dove sia la sua protezione è difficile capirlo, mai m’abituerò a queste oscene violenze che ormai dilagano per l’Europa devastando storia e cultura a piacere di ignavi visitanti e profitto d’ un po’ di mercanti. Se ne fugge salendo tra le poderose fortificazioni che arrampicano le falde del Lovcen per la rocca di dove la vista spazia su questo lembo d’Adriatico. Del glorioso passato che aleggia su questa regione di Cattaro e se ne ripercorre la storia dai remoti graffiti preistorici della rupe di Lipci ai mosaici della romana Rhizinium, le memorie di Stato da Mar della Serenissima nell’elegante Risan e la barocca Perzagno dalla chiesa che splende nella baia Prcanji , la fortezza Santa Croce Kašun e il palazzo Bujovic. Scorrono le immagini nell’ incanto delle Bocche che s’insinuano a magnifico fiordo come angolo d’ un suggestivo Adriatico, davanti lo Tjesnac Verige che incatena le insenature delle Kotorska nella baia di Teodo, se ne sta isolato di venete memorie l’antico villaggio di Perasto che si lascia scoprire discreto lungo le case e nobili residenze affacciate sul piccolo porto di pescatori. La suggestione di questo Perast si spande davanti le due piccole isole nello specchio cristallino di Sveti Dorde dalla medievale abbazia tra i cipressi e la Gospa od Skrjpela con il santuario consacrato alla Madonna dello Scoglio, sospese nel tempo a raccontare quel che furono le paradisiache Bocche di Cattaro .

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