Yemen
Yemen: un paese ancora indeciso tra medioevo e terzo millennio…
Arabia Felix
[dropcaps]L’ estremità meridionale d’ Arabia fin dall’ antichità fu la leggendaria Arabia Felix dal fiorente traffico carovaniero sulla Via dell’incenso ove sorsero regni ricchissimi che attraversarono la storia fin dal leggendario Qahtan ed erano già secolari e potenti ai tempi di Erodoto che descrisse i fiorenti regni di quelle terre. Da quello dei Minei sorto nell’ VIII secolo a.C. e durato novecento anni e il contemporaneo Awsan fondato nello stesso periodo, sono seguiti l’ Hadramawt dal VII secolo a.C al terzo dell’ era cristiana, Qataban tramontato nello stesso periodo e iniziato dal IV secolo a.C ., l’ Himyar nato duecento anni dopo e giunto al VI d.C.[/dropcaps]
Tra tutti il il potentissimo regno Sabeo, dove regnò la leggendaria Bilquis nota al mito e la storia come Regina di Saba, per un millennio dominò la produzione e il commercio dell’ incenso e i suoi porti nel Dhofar videro il grande traffico sulle rotte marittime dell’asiatica Via delle spezie. Le sue ricchezze divennero leggenda e sembra fu Strabone che per primo lo chiamò il territorio dell’ Arabia Felix , descrizione ripresa nel I secolo a.C. da Artemidoro, attirando le mire di Roma imperiale con la spedizione di Elio Gallo nel 25 a.C. che fu respinta dai sabei.
Con l’ egemonia imperiale romana il mondo mediterraneo e mediorientale cominciò a trasformare antiche usanze, così il tradizionale consumo di incenso e mirra diminuì fino al tracollo commerciale per l’ abbandono di alcune pratiche religiose e funerarie che adoperavano le due resine aromatiche. L’antica Via dell’incenso fu quasi abbandonata come il traffico carovaniero e con esso le grandi ricchezze che avevano alimentato la potenza sabea, i conflitti religiosi e politici accentuarono il declino fino a quando il sovrano Dhu Nuwas convertito all’ebraismo scatenò una violentissima persecuzione contro le comunità dei cristiani che a Najran vennero messi al rogo a migliaia. Ciò provocò le reazioni di Bisanzio che non poteva intervenire direttamente per i suoi vari conflitti con i vicini, mentre dalla vicina Etiopia il potente impero cristiano di Axum nel 525 invase il sud arabico regno Himyar riducendolo a vassallo con una dinastia cristiana e il sovrano Abraha intraprese una grande opera di cristianizzazione. Sana’a ne divenne capitale e vi fece edificare una chiesa su un antico tempio pagano come centro cristiano arabo che tuttavia ebbe breve vita invaso dai Sasanidi che estesero il loro vasto impero dalla Persia. Seguì un periodo di frazionamento tribale e nel 628 il locale satrapo persiano si convertì all’ Islam che si diffuse tra le varie tribù portando grandi mutamenti culturali tra cui la sostituzione dell’antica lingua ed alfabeto himaryita con l’ arabo.
Yemen islamico
L’ incontenibile espansione della nuova religione travolse militarmente il vicino oriente e la Persia con tutti i suoi domini arabici, qui la divisione tribale era controllata superficialmente dai califfati, ma ormai l’ antico ruolo commerciale si era esaurito e la regione si isolò dal resto del mondo, mentre la cultura yemenita ebbe vita propria e unica nel resto del mondo islamico , dall’ arte alla letteratura, ma soprattutto una straordinaria architettura che continua ad incantare i visitatori e l’ antica Arabia Felix divenne il Paese delle Mille e una Notte. Nel frattempo l’ Islam aveva avuto la sua grande scissione politica e dottrinaria con gli Sciiti seguaci del Partito di Ali Shi’a, che si opposero nel VII secolo a ogni altra discendenza oltre a quella di Ali , il martirizzato e venerato cugino e oltre che genero del Profeta .
Successivamente anche all’ interno dello sciismo si crearono alcune correnti, la prima definita imamita dalla quale deriva l’ Ismailismo che affermava Ismāʿīl dover essere il settimo degli imam e non il proclamato fratello Kāẓim come per gli altri sciiti, quindi la corrente dello Zaydiyya che prese nome da Zayd ibnAli, figlio del quarto imam sciita Zayn al-ʿĀbidīn, che si oppose al potere omayyade a metà dell’ ottavo secolo. In questa diatriba alla fine del IX secolo l’imam sciita Hadi Yahya lbn El Hussein, pronipote di quell’ Alì cugino del Profeta, nella città di Sa’dah fondò l’ imamato yemenita e ne fu il primo della lunga serie di imam fino all’ ultimo al Badr, nella più lunga dinastia teocratica della storia. Non ebbe una completa indipendenza e fu soggetto alla dominazione Fatimide egiziana nel X secolo seguita da quella Ayyubide nell’ Xl e infine dai locali Rasulidi che assieme agli Ziyadid conservarono le tradizioni .
Nel medioevo vi fu una ripresa commerciale attirando l’ attenzione anche dei portoghesi che nel 1513 tentarono invano di conquistare il porto di Mokkha, mentre parte del paese fu invaso nel 1528 dai turchi di Solimano governando con un Vilayet, ma le fiere tribù yemenite conservarono tenacemente la loro indipendenza, fino a quando l’imam Qasim le unificò liberando il paese che vide una grande rinascita economica e commerciale con la produzione di caffè che dal XVII secolo in poi ebbe una crescente domanda sui mercati europei.
Dalla Teocrazia all’unificazione
Dopo la caduta dell’ impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918 l’Imam Yahya proclamò il regno teocratico al-Mamlaka al-Mutawakkiliyya al-Yamaniyya noto come Mutawakkilita che si chiuse nel suo regime medioevale rifiutando qualsiasi influenza dal mondo moderno e dal 1924 per dieci anni in guerra con la vicina e crescente potenza del regno saudita per motivi territoriali, regnando fino al 1948 quando venne assassinato in un colpo di stato e gli fu successore il figlio Ahmad che mantenne il chiuso stato teocratico nell’ assolutismo del suo potere.
Alla morte nel 1962 salì al trono il figlio Muhammad , ma pochi giorni dopo un colpo di stato militare guidato dal generale Sallāl, travolse il vecchio regno proclamando la Repubblica Araba dello Yemen che si aprì all’ occidente, mentre le tribù legate all’ imam scatenarono una guerra durata otto anni.
Intanto il sud e il territorio di Aden rimaneva protettorato britannico poi entrato in quello della Federazione araba che governava la penisola meridionale, nel 1967 si rese indipendente proclamando la Repubblica Popolare aperta al blocco sovietico per tutto il periodo della Guerra Fredda. Nel 1978 iniziò la presidenza di Saleh che vi ha regnato come incontrastato sultano, ma aprendo il paese agli stranieri e il turismo anche dopo l’ unificazione con la meridionale e filosovietica Repubblica Popolare nel 1990. È in questo periodo che il paese si è aperto come prezioso scrigno di arte antica sudarabica con i suoi suggestivi siti archologici tra le montagne e il deserto, la raffinata architettura medievale delle sue città, antichi villaggi, suq animati, popolazione e tradizioni emerse dalla storia.
La fine di un mondo
Guerra nello Yemen
Nel 2011 ha vissuto la sua Rabi al-arabi come altri paesi mediorientali, salutata dall’ ignavo mondo occidentale che nella sua idiozia l’ ha magnificata sedicente Primavera araba dalle catastrofiche conseguenze e anche in questo ormai perduto Yemen è stato compromesso un delicato equilibrio di vecchia data. Con la rivolta yemenita di quello stesso anno la lunga presidenza del potente Saleh è terminata e dopo aver subito un’ attentato ha ceduto formalmente il potere al suo vice Hadi , intanto dal 1998 anche qui si sono insediate le bande islamiche criminali di Al-Qa’ida e ne ricordo un campo di addestramento proprio sul confine avventurosamente raggiunto nel mio ultimo viaggio, alimentate e finanziate dai sauditi così come gli attuali tagliagole dell’ isis che seminano il terrore.
E’ stato anche l’ odio di questi fanatici assassini contro l’ antica e numerosa setta islamica Zaydita che ha scatenato la rivolta dei suoi seguaci Huthi poi sostenuti dall’ Iran e dal movimento sciita degli Hezbollah.
Guerra civile
Dal 2015 il paese è sconvolto da una sanguinosa guerra civile e la violenta aggressione dell’ Arabia Saudita che da allora continua i suoi devastanti bombardamenti che hanno distrutto città e villaggi massacrando civili con oltre dodicimila morti, migliaia di dispersi, cinquantamila feriti gravi e tre milioni di profughi, l’ intera popolazione in condizioni disastrose tra carestia ed epidemie e almeno sette milioni che stanno morendo di fame.
Questo è il paese come lo si trova così travolto dalla guerra che si strascica sanguinosa e dimenticata dall’ occidente prodigo altrove di interventi umanitari e condanne varie alle aggressioni, ma questa condotta dal saudita Salman ne fa i loschi interessi tra affari petroliferi e contratti miliardari per armarlo ancor di più.
Di questo paese come l’ho conosciuto rimane ben poco, ne ho visti i drammatici mutamenti fin dal primo viaggio quando fuori dalla regione della capitale erano le varie tribù a comandare, ma nei villaggi tra le montagne e il deserto la vita scorreva secolare, con i suq animati, le antiche tradizioni, gli uomini armati che non sembravano così bellicosi e le donne nei variopinti costumi tramandati da secoli.
Un mondo arcaico che mi sembrò così diverso quando ci sono tornato, di stranieri che lo visitavano non v’ era più traccia, banditismo e rapimenti vari ne avevano fatto una destinazione pericolosa e si viaggiava con la scorta, aleggiava il morbo del cupo fondamentalismo islamico, le donne che prima ostentavano quei ricchi abiti multicolori erano ridotte a scuri fantasmi dal tetro Niqab mentre incombeva criminale Al-Qaida. Solo pochi anni dopo lo si trova infine dilaniato da questa guerra che ha spazzato secoli di storia, tradizioni, città, villaggi e popolazione.
Avevo amici in quel paese, organizzatori di viaggi, archeologi, studiosi, guide, semplici yemeniti che mi hanno invitato nelle loro case, non so quale sia il loro destino, ricordo che s’ erano dilettati ai miei reportages e quanto scrivevo su quel perduto Yemen.
Perduto Yemen: la capitale San’a
ll sole radente di un tramonto levantino accentua il bianco e l’ocra dei mìnareti e gli antichi palazzi, penetra nelle strette stradine della medina e illumina la merce accatastata sulle bancarelle del suq. Gli altoparlanti delle moschee cantilenano chiamando i fedeli alla preghiera del maghrib, la gente si avvia verso casa o la più vicina moschea: le donne velate cariche delle loro cose, gli uomini con le gote gonfie dal bolo di qat masticato tutto il giorno e l’ inseparabile jambiah alla cintola. E’ la fine di una qualsiasi giornata a San’a, la capitale di un paese ancora indeciso tra medioevo e terzo millennio, ‘‘unico” da ogni punto di vista in tutto il mondo arabo.
Fino a non molti anni fa era tutta compresa nelle mura medioevali, dopo il tramonto le porte venivano chiuse e i viaggiatori che arrivavano a quell’ora dovevano accamparsi all’ esterno in attesa dell’alba. Stesa ai piedi del djebel Nogiúm, dove la tradizione vuole che si sia fermata l’ arca di Noé, si dice che la città sia stata fondata da suo figlio Sem, di cui gli yemeniti si vantano di essere i discendenti. Il poeta arabo Ibn’Abd el Megid la cantò come la più bella città dell’ Islam e tale rimase tutt’ ora con la sua affascinante atmosfera da Mille e una Notte che si stende sulla città vecchia divisa in tre zone distinte: la medina araba, il quartiere turco Bir el Azab e quello ebreo Qáa el Yahoud abbandonato dagli abitanti, che erano i più abili artigiani d’ Arabia, nel 1950 durante l’ esodo ad Israele. Il centro vitale é il suq che si stende attorno alla grande moschea Jamia el Kabir, una delle più antiche dell’ Islam, un dedalo di strette stradine animatissime tutto il giorno da mercanti, acquirenti e vagabondi. Ai lati si aprono le minuscole botteghe alimentari, spezie, tessuti, artigianato, cianfrusaglie, gioielli e tutto ciò che si può vendere o acquistare in questo paese. I mercanti, distesi tra mucchi di merci fumano íl narghilé e masticano il qat, quasi indifferenti alle richieste degli acquirenti e per niente disposti a qualsiasi tipo di contrattazione: un atteggiamento assai singolare per degli arabi.
Gli yemeniti si considerano molto diversi ed effettivamente lo sono, per alcuni aspetti della vita quotidiana, i costumi, le usanze e i rapporti umani, ancora modellati da un sistema medioevale dal quale qualcuno a San’a cerca faticosamente di uscire, ma la maggior parte senza troppa convinzione. La caratteristica più nota di San’a è la straordinaria architettura della città vecchia con le sue cinquanta moschee, tra le più belle d’ Arabia, gli eleganti minareti e, soprattutto, le alte case a più piani dalle facciate finemente decorate dagli artigiani ebrei con disegni geometrici bianchi che contrastano con l’ ocra dei mattoni, a volte con stelle di David, sigilli di Salomone e altri simboli biblici ben accetti dall’ Islam.
Le finestre spesso possiedono delicate grate di legno intarsiato, sormontate sempre da finestrelle più piccole dai vetri colorati, le case con la facciata rivolta a ponente hanno le finestrelle chiuse dai qamayat, sottili lastre di alabastro che filtrano i raggi del tramonto, considerati dannosi secondo la tradizione. Ogni casa possiede varie stanze ognuna adibita ad un uso specifico, ma la più grande ed importante é la mafráj, dove si riuniscono gli uomini a bere the, fumare, conversare e, soprattutto, masticare il qat. Intorno vi è un giardino con una fontana dove si trova refrigerio nelle giornate più calde, secondo il migliore stile arabo. Solo da poco la viva voce del muezzin é stata sostituita dagli altoparlanti, ma la giornata dei cittadini inizia ancora all’ alba svegliati dalla chiamata alla subhl, la prima preghiera del giorno; mentre una voce anonima ripete che “ non c’è altro dio all’infuori di Allah”Ašh-hadu an lā ilāha illallāh e che Muhammad è il suo Profeta Ašh-hadu anna Muħammadan Rasūlullāh, dalle moschee sciite si aggiunge che “Alì ne è il vicario” ašhadu anna ʿAlīyan walī Allā, le finestre si illuminano, si prega rapidamente e poi le donne accendono il fuoco. I primi a scendere in strada sono gli akhadam, i discendenti degli schiavi negri ai quali sono affidati i lavori più umili, quando il sole illumina completamente la città, inizia il carosello indescrivibile delle automobili, taxi, furgoni, camioncini e motociclette con il loro uso paranoico del clakson.
Gli uomini si recano al lavoro con l’inseparabile jambiah, il pugnale ricurvo che ogni adulto porta alla vita, la testa avvolta nel turbante e gli abiti tradizionali sempre più corredati da capi occidentali. Con la flemma tipicamente araba si aprono le botteghe e gli uffici, la città si anima dagli antichi quartieri alle zone di più recente costruzione, come la via Abdel Moghini con le sue banche, uffici, poste, agenzie, cinema e condomini residenziali: tutto ciò che é “moderno” a San’a è concentrato in questa zona. La mattinata scorre veloce fino a mezzogiorno quando, dopo la preghiera dello Zuhrll, gli uomini si precipitano al mercato del qat per fare la loro scorta quotidiana di foglie da masticare. Un pasto veloce, poi gli amici si riuniscono nelle mafraj a masticare il qat e a conversare per gran parte del pomeriggio.
Un mondo tribale
Qualsiasi cosa si stia facendo, all’ ora del qat lo Yemen si ferma: lavoratori, commercianti, impiegati, notabli, ministri e lo stesso presidente, consacrano il pomeriggio alla masticazione delle tenere foglioline vagamente inebrianti che ormai condizionano l’ intera vita del paese. Il qat sembra essere uno dei pochi elementi in comune tra la vita a San’ a e quella nel resto dello Yemen, dove le istanze “moderniste” della capitale non hanno una grande rispondenza. Fino alla riunificazione del Paese e la rivoluzione pacifica voluta dal presidente, il governo controllava la sola zona compresa tra San’ a, il porto di Hodeydah e Taizz, le altre regioni erano tutte sotto l’autorità del le grandi confederazioni tribali guidate dagli cheick, spesso in contrasto con l’ amministrazione centrale.
L’ unità del ha lasciato alle confederazioni tribali, le più importanti sono la Hashida e la Bakil che dominano su gran parte delle zone rurali degli altipiani settentrionali; tutti gli abitanti delle montagne sono suddivisi in qabile, unità tribali più o meno grandi le cui caratteristiche sono diverse da quelle del resto d’ Arabia tradizionalmente nomadi. Gli yemeniti sono da sempre agricoltori sedentari, saldamente legati alla terra e alle tradizioni, ma con caratteristiche culturali diverse dal resto della popolazione arabica tradizionalmente legata al rigore wahhabita che non è mai riuscito a penetrare nel paese di tradizione zeidita e ismaelita, le sette islamiche più ostili all’ ortodossia saudita. Ormai solo tra i villaggi fortificati del nord le donne velate fin da bambine hanno abiti che rivelano una certa preziosità e una ricerca estetica nelle stoffe e nei colori, inammissibile nella vicina Arabia Saudita e certamente i costumi femminili delle yemenite sono i più belli dell’ intero mondo arabo, purtroppo invece a San’a e nelle maggiori città sono divenute quei tristi fantasmi neri coperti dalla testa ai piedi diffusi nei paesi più integralisti.
Gli uomini, soprattutto nel nord e nell’ est, rivelano il loro mai sopito carattere guerriero ostentando, oltre alla jambiah, le armi da fuoco, status symbol degli yemeniti che assicura onore e rispetto. È difficile trovare un adulto che non sia armato di pistola automatica, un fucile o il kalashnikov, da cui non si separa mai, ormai entrato a far parte del costume tradizionale come il turbante shall e la jambiah. Indubbiamente quello yemenita è il popolo più armato del mondo e non certamente solo per motivi di costume come anche le più recenti vicende storiche e tutta una serie di avvenimenti attuali dimostrano.
Prima della riunificazione le armi rappresentavano la vera forza del potere tribale conservatore, ogni cheick poteva radunare centinaia o migliaia di combattenti fedelissimi equipaggiati con le armi leggere più moderne, imbattibili tra le montagne, per esercitare pressioni politiche, risolvere controversie o faide, aumentare il proprio potere: veri e propri armigeri dì feudatari che hanno sostituito i kalashinikov alle alabarde e scimitarre.
Antiche tradizioni
La tradizione, possiede dappertutto i suoi miti e i suoi simboli, basta uscire di poco dalla capitale e si é a Wadi Dhar, il palazzo nella roccia, uno degli esempi più arditi dell’ architettura reale yemenita costruito su uno sperone roccioso in una gola che stringe una bellissima oasi, era una delle residenze dell’ Imam, l’ultimo sovrano teocratico assolutista della storia, che aveva potere di vita o di morte sui suoi sudditi fino a pochi anni fa. L’ eredità dell’assolutismo imamico fu raccolta dagli cheick degli altipiani che continuarono ad amministrare i propri territori come satrapi con i loro armìgeri, applicando la loro personalissima interpretazione della legge, esercitando una giustizia senza appello. In molti cheickati del nord e dell’ est non esisteva né polizia né magistratura e un numero variabile di frustate qualche volta è ancora inflitto ai trasgressori, nei villaggi più isolati la mano amputata ad un ladro, la lapidazione per l’ adultera o qualche testa mozzata sono usanze ancora praticate, ma ormai sostituite da tribunali, ammende e detenzione.
Nei villaggi fortificati tra le montagne tutto e molto diverso dalla realtà della capitale, la vita scorre in pieno medioevo scandita dai costumi e le tradizioni, alcune antichissime e risalenti all’ epoca preislamica che nemmeno il fervore coranico é riuscito a sradicare. L’ uso, sebbene limitatissimo, della magia di origine pagana, la credenza negli spiriti che si perde nella notte dei tempi e altri elementi si sono amalgamati nella tradizione musulmana producendo un sincretismo culturale estremamente originale. Il matrimonio, ad esempio, che é considerato uno dei momenti più importanti della vita, possiede caratteristiche proprie tra le genti degli altipiani, con cerimoniali propiziatori prima della celebrazione e lunghi festeggiamenti dopo che, in una certa misura, appaiono contrastanti con l’ austerità dell’ ortodossia islamica.
Una tradizione rurale antichissima che conserva ancora alcune pratiche magiche, come l’ uso di dipingere il volto e le mani dei neonati ponendo loro sul corpo erba di ruta per allontanare gli spiriti jinn apportatori di malattie mentre il Corano condanna ogni credenza in ogni entità sovrannaturale e le pratiche connesse. Cercare di “capire” lo Yemen significa anche tutto ciò: provare ad entrare in un mondo estremamente complesso in gran parte modellato attraverso i secoli dall’ isolamento, dalle caratteristiche ambientali, dall’ eredità di culture antichissime e da avvenimenti storici spesso drammatici. Un insieme di elementi che ha influenzato parzialmente anche la tradizione islamica che qui ha assunto caratteristiche diverse da altre aree, cosi come pure un certo modo di concepire il potere e l’autorità.
Ibb e Jiblah
La strada che dalla regione di San’ a scende verso quella di Taizz é magnifica: si arrampica tra le montagne il cui colore ocra e spesso contrastato dalle strisce di verde delle coltivazioni a terrazza nei pressi dei villaggi fortificati, veri e propri nidi d’ aquila che dominano le vallate da posizioni imprendibili. Superato il passo di Yislah si incrocia la pista carovaniera che collegava il porto di Hodeydah agli altipiani, poi é un susseguirsi di villaggi in alcuni dei quali, come Mawiahid e Dhàftìar, veri e propri reperti archeologia sono stati utilizzati nella costruzione degli edifici.
Dal passo di Sumarah si raggiunge Ibb, uno dei migliori esempi della architettura classica yemenita, poi si comincia a scendere verso la Valle verde, la regione più fertile del paese, cantata dai poeti arabi, uno dei quali scrisse che gli uccelli danzano di gioia nell’attraversare il cielo per la sua bellezza e ricchezza. Da lontano, i minareti bianchi che si stagliano sul cielo terso di montagna, annunciano Jiblah in un venerdì di preghiera, i fedeli provenienti dai villaggi dei dintorni si recano ad assolvere il loro dovere di buoni credenti nella moschea. All’ esterno compiono le abluzioni rituali, poi entrano e seguono in silenzio la khrituba, il sermone tenuto dal predicatore di turno, quindi iniziano a genuflettersi meccanicamente verso la Mecca recitando sottovoce la fàthia coranica.
Al termine della preghiera i vecchi saggi leggono i testi sacri seguiti attentamente dai discepoli della scuola coranica locale, nella moschea di Jiblah niente é cambiato da quando l’ Islam penetrò nella regione fin dal VII secolo e gli antichi arredamenti, i tappeti, gli abiti dei religiosi, l’ intimo rapporto con Allah dei fedeli e l’ atmosfera di religiosa discrezione che dà pace al visitatore.
Taizz: seconda città dello Yemen
Taizz é la seconda città del paese, i minareti delle antiche moschee Makhdabia, Sharifia e Muzafaria emergono dalla grande distesa di edifici dominati dal djebel Saber e protetti da secoli dalla cittadella di Al Qahirah. La città è cresciuta negli ultimi anni, era la residenza preferita dell’ Imam Ahmed, il più tenace oppositore di ogni “novità” che proveniva da fuori del suo regno teocratico, ma é anche il centro politico più importante dei progressisti yemeniti, poco distante dal villaggio medioevale di Turbah nelle giornate più chiare si vede il golfo di Aden.
Il porto sul mar Rosso
Tra Taizz e Manakha si stendono le piantagioni di caffè, di cui per molto tempo lo Yemen fu il maggiore produttore del mondo: fin dal XVIII sec. le grandi carovane di cammelli portavano il prodotto al porto yemenita di Mokha sul mar Rosso, dove veniva caricato sulle navi arabe ed europee verso i ricchi mercati occidentali. Fu un lungo periodo florido per le regioni meridionali, il commercio portava anche contatti e scambi culturali con il mondo esterno al quale lo Yemen lentamente si stava aprendo ma poi l’ insostenibile concorrenza delle nuove piantagioni, soprattutto brasiliane, determinò la grande crisi dell’esportazione.
La produzione calò enormemente, il porto in Yemen di Mokha venne abbandonato, diminuirono i commerci, i traffici e gli scambi e anche il sud si rinchiuse in se, rimanendo isolato dai rapporti con l’ esterno per un lunghissimo periodo.
Dal deserto alla costa
Si scende rapidamente dall’ altipiano verso est e la strada si immette in una vasta pianura arida dove si osserva un repentino mutamento ambientale che annuncia la vicinanza del grande deserto arabico, la popolazione appare diversa dal resto del paese, meno disponibile a rapporti con gli stranieri, abituata da millenni a convivere con un ambiente grandioso e “difficile”, ai grandi spazi e al silenzio rotto solo dal vento che trasporta la sabbia modellando continuamente le dune del deserto.
La strada termina a Marib che, come tutti gli insediamenti umani ai margini di grandi ambienti ostili, appare come una cittadina di “frontiera” dove tutto é condizionato dalle caratteristiche naturali con ritmi e modi di vita conseguenti. La luce abbacinante del sole si riflette sugli edifici, alcuni dei quali diroccati dopo un terremoto e mai restaurati, poche persone sulla strada, gli uomini armati, e vi è l’ impressione della mancanza di ogni attività, quasi di una città morta, in netto contrasto con l’ animazione dei centri urbani in altre regioni del paese.
La pista del deserto conduce alle rovine dell’antica capitale sabea, i fuoristrada cominciano ad arrancare sulla pista dove la luce é quasi insopportabile e la sabbia penetra dappertutto, qualche tenda di beduini accampati provvisoriamente vicino ai pozzi rompe l’uniformità del tipico paesaggio desertico. Si attraversano gli wadi asciutti da secoli dove il perfetto sistema idrico dell’ antica Marib riusciva a convogliare le scarsissime acque piovane per l’ irrigazione dei campi, dando la vita alla regione fin dal I millennio a.C.. Un’ area recinta racchiude alcune imponenti colonne quadrangolari che emergono dalle dune, appartenenti al leggendario tempio della “regina di Saba”.Assieme alle rovine della grande diga, capolavoro di ingegneria idrica dell’ antichità, sono gli unici resti scavati a Marib e le sabbie che si perdono all’ orizzonte racchiudono uno dei più vasti e ricchi siti archeologia del medio oriente che attende di essere aperto al mondo. Un tesoro contenuto nello scrigno prezioso del deserto che si stende magnifico nella sua suggestione millenaria dall’ antica capitale sabea al golfo di Aden, dove ancora incrociano le carovane dei beduini sul tratto più meridionale della Via dell’ Incenso.
Sull’ antica carovaniera spuntano villaggi, dove il tempo si è fermato a quell’ epoca come incantesimo della storia, poi fantastiche città che si annunciano con case alte come torri preziosamente decorate che hanno resistito per secoli al clima e alla storia, sembrano uscite da miniature arabe che illustravano le immaginarie mirabilia medioevali. In questa armonia di natura e architettura che è lo Yemen meridionale nasceva la leggendaria Via dell’ Incenso che andava a congiungersi all’ altrettanto leggendaria Via delle Spezie. Nei porti della costa tra Aden e il Dharfur, e più importanti vie commerciali dall’ antichità al medioevo si incrociavano e fecero dello Yemen l’ Arabia Felix e il Paese delle Mille e una Notte. La costa si allunga a nord verso l’ Oman per centinaia di chilometri di baie e splendide spiagge bordate di palme alternate a rocce che racchiudono come scrigni piccole insenature nascoste e solitarie affacciate sugli splendidi riflessi di cobalto e turchese dell’ Oceano Indiano e solo qui può terminare un affascinante viaggio a ritroso nel tempo sulla Via dell’ Incenso, in questo Paese dove il dominio della natura è completo e incontrastato e la sagoma antica di qualche dhown incrocia lo sguardo che si perde al tramonto sull’ oceano.
Frammenti dai racconti del mio primo viaggio che sembrano così lontani, ne sono poi venuti altri meno incantati, ma sono questi che voglio dedicare a chi ho conosciuto in quel paese e tutti quei viaggiatori e lettori che all’ epoca hanno provato le suggestioni di questo paese delle Mille e una Notte, ormai sprofondato nelle tenebre nella speranza di una futura alba che pare lontana.
“E così per mille e una notte, destò la curiosità del sovrano con i suoi racconti straordinari… Quando smise di raccontare, il re aveva ormai dimenticato l’antico odio …il tempo e la fantasia l’avevano riconciliato con la vita…”
© Paolo del Papa
Photo Gallery: Incense route | Via dell’ incenso